lunedì 1 novembre 2010

Un gattino neonato senza mamma gatta




Una settimana fa, mentre ero al lavoro, nel corso di un temporale di quelli storici abbiamo sentito un miagolio disperato provenire dal giardino. Stava letteralmente diluviando, e sotto un albero un gattino di pochi giorni lottava per non affogare in una pozzanghera e chiamava disperatamente la mamma che però non si vedeva. Così due persone che lavorano lì lo hanno preso, asciugato, scaldato, mentre io impossibilitata ad aiutarle perché impegnata con i pazienti mi affacciavo ogni tanto a vedere quell'esserino minuscolo che pian piano da sembrare un topino bagnato ha assunto l'aspetto di quel che era, un gattino di pochi giorni, con gli occhi ancora semichiusi, infreddolito e disperato, forse affamato. Pur sapendo che non è il massimo gli abbiamo dato con una siringhina un po' di latte del distributore automatico e quando finalmente è sembrato tranquillo una delle due ha chiamato il suo ragazzo perché la venisse a prendere con il suo trovatello.


Tre giorni dopo Chiara, così si chiama la ragazza che lo ha trovato, mi ha chiesto se potevo aiutarla... lei il gattino per motivi vari non può tenerlo, ed il suo ragazzo che ci ha provato con tanta buona volontà non era in grado di gestirlo per le troppe cure ed attenzioni di cui ha bisogno un gattino così piccolo. Facendone ufficialmente un fatto di opera buona ma gongolando fra me e me le ho detto che me ne sarei curata io insieme alla mia famiglia... e quattro giorni fa un esserino piccolissimo è arrivato ad allargare una famiglia dove da sette anni vive felicissimamente Minou, la nostra adorata gattina nera che per me è una terza figlia.


Come immaginavamo Minou l'ha presa malissimo. Lei, dolcissima ed affettuosa, giocherellona ed allegra, da quattro giorni dimostra sofferenza, ci ha soffiato per due giorni, passa la maggior parte del suo tempo fuori, non gioca, non fa le fusa, non dà i suoi affettuosi bacini rasposi... non so come andrà a finire, io desidero disperatamente che alla fine si abitui e lo accetti, di sicuro per adesso è indispensabile che il gattino cresca e diventi indipendente prima di prendere una decisione. Che spero sia quella, semplicemente, di tenerlo con noi.


Non ha ancora un nome, perché non sappiamo ancora se è maschio o femmina, e perché non riusciamo a trovarci d'acccordo. Chi ne propone uno, chi un altro, difficile trovarne uno che si adatti sia a un maschio che a una femmina e che piaccia a tutti. Carlo vorrebbe chiamarlo, se maschio come sembra sia, Milos. Ma a Silvia non piace, dice che somiglia troppo a Minou e potrebbe essere ulteriore motivo di gelosia. Io ho proposto Lucky, fortunato, bocciato perché "troppo da cane". Altra proposta, che a me non dispiace, è Tish, o Tishi, dalla parola greca (che si scrive in tutt'altro modo ma ha più o meno questo suono) "Fortuna". Nell'attesa, è semplicemente "Piccolino"... e sta impegnando enormemente la mia vita e la mia pazienza. Che sia fortunato ad aver trovato noi, è poco ma sicuro. Però siamo stati fortunati anche noi, per la gioia che ha portato in questa casa.






Eccolo qui, il primo giorno a casa nostra... sperduto, un po' arruffato, un po' puzzolento (non c'è mamma gatta a lavarlo, lo faccio io con un panno in microfibra), così piccolo e tenero ed indifeso che ci ha conquistati tutti... Silvia per prima, che malgrado la preoccupazione per Minou si è sciolta di fronte a questo esserino dolcissimo.






 Il giorno dopo, coccolato da Erika...







L'ora della pappa, momento non facile visto che quasi non riesce ad attaccarsi alla tettarella e cerca, miagolando disperatamente, la morbidezza di mamma gatta.... inoltre, dopo la pappa, perdo un po' di tempo a massaggiargli la pancia ed i genitali perché faccia la pipì e possibilmente anche la cacca, simulando con uno scottex la lingua della mamma, che in natura lo fa continuamente. Dopo, lo lavo delicatamente e lo asciugo. Poi gli faccio esplorare un po' di ambiente, sorvegliando i suoi passi traballanti.



Esplorazione tra i cuscini del divano.... è buffissimo, riesce a malapena a tenersi sulle zampe davanti, ed avanza barcollando come un ubriaco... tanto che un altro dei nomi papabili (se fosse maschio) è Whisky!





Le sue proteste sdentate al momento di tornare nella sua cuccia...




... e alla fine, la rassegnazione.


Ieri sera comunque, dopo quattro giorni, Minou mi ha fatto le fusa, mi ha dato qualche leccatina ed ha giocato allegramente con me... Anche con Silvia sembra meno arrabbiata e malgrado il comportamento molto circospetto sembra che stia ritrovando un po' di serenità... Stamani contrariamente agli altri giorni è in casa, anche se evita accuratamente di salire in camera mia dove invece stava per molto tempo, visto che per ora Piccolino alloggia qui. Quando ci sembrerà il momento giusto proveremo di nuovo a farglielo conoscere,... sperando di non scatenare un'altra brutta crisi di gelosia.


Minou, la nostra principessa... il nostro tesoro immenso. Altro che diamanti e gioielli... in questi giorni i suoi bacini e le sue fusa sono il regalo più bello che si possa ricevere e desiderare.



Nei prossimi giorni pubblicherò altre foto ed altre notizie su Piccolino!







mercoledì 14 luglio 2010

Per te

 Vorrei averlo scritto io. Per te, con cui ho passato più di metà della mia vita, con cui ho costruito giorno per giorno il futuro, con cui ho gioito e sofferto e pianto e riso, con cui ho litigato e fatto pace migliaia di volte, con cui ho viaggiato e sognato e fatto mille progetti, con cui ho voluto e visto nascere e crescere le nostre figlie, con cui ho vissuto le mie e le tue prime rughe, i primi capelli bianchi, continuando a volere questa vita… la vita con te.

"L’amore non è già fatto. Si fa. Non è un vestito già confezionato, ma stoffa da tagliare, cucire. Non è un appartamento "chiavi in mano", ma una casa da concepire, costruire, conservare e spesso riparare. Non è vetta conquistata, ma partenza dalla valle, scalate appassionanti, cadute dolorose nel freddo della notte o nel calore del sole che scoppia. Non è solido ancoraggio nel porto della felicità ma è un levar l’ancora, è un viaggio in pieno mare, sotto la brezza o la tempesta. Non è un "si" trionfale, enorme punto fermo che si segna fra le musiche, i sorrisi e gli applausi, ma è una moltitudine di "si" che punteggiano la vita, fra una moltitudine di "no" che si cancellano strada facendo. Non è l’apparizione improvvisa di una nuova vita, perfetta fin dalla nascita, ma sgorgare di sorgente e lungo tragitto di fiume dai molteplici meandri, qualche volta in secca, altre volte traboccante, ma sempre in cammino verso il mare infinito".


 Michel Quoist

 
"Non camminerai mai da sola…"

 

 

2 risposte a Per te

  1. patrizia scrive:
    bellissime e veritiere parole. ciao cuginetta!
  2. Agnese scrive:
    Ma che meraviglia! Davvero emozionante….. Bellissime parole anche le tue, si sente che le hai scritte col cuore per la persona meravigliosa che hai accanto :)

mercoledì 27 gennaio 2010

La vita è così bella!

E’ una brutta notte… fa molto freddo, piove, e il vento soffia con violenza riempiendo di rumori un po’ sinistri la mia casa addormentata. Come spesso succede quando Carlo non c’è, non riesco a dormire e sono oppressa da brutti pensieri. Così eccomi a scrivere, come facevo da ragazzina per isolarmi dalle cose che non mi piacevano, e come allora cerco serenità nei ricordi di quei momenti che hanno saputo darmi emozione, gioia di vivere, carezze fragili di felicità.
Ho vissuto meno di dieci giorni fa uno di quei momenti, sulla cima di un monte, al di sopra delle nuvole. L’ho vissuto ogni volta che arrivavo in cima ad una pista e guardavo lo spettacolo che mi offriva la montagna. L’ho vissuto ogni volta che ho respirato quell’aria freddissima preparandomi a scendere a valle. L’ho vissuto ogni volta che ho preso la macchina fotografica per fermare quelle immagini belle da stringere il cuore, mentre le dita mi si congelavano tanto da non riuscire più a muoverle.
La montagna… dire che la adoro è dire poco. Adoro la neve, sentirla scricchiolare sotto le scarpe, vederla sfarinare mentre scendo con gli sci o volteggiare e posarsi a decorare tetti ed alberi, adoro l’aria frizzante che ti riempie i polmoni, adoro perfino il freddo che ti arrossa il naso e le mani, e ti congela le orecchie ed i piedi… adoro il vento che ti scompiglia i capelli mentre scivoli sui pendii nel silenzio più assoluto, adoro quello spettacolo magnifico di cui godi a migliaia di metri di altitudine. La montagna, mondo incantato con le sue distese infinite di alberi e rocce, con i suoi prati innevati punteggiati di orme di lepri ed uccelli, con i suoi cieli di un azzurro così intenso da sembrare dipinto; un mondo pulito, silenzio puro, e la mente fa fatica a ricordare che esistono l’inquinamento, l’effetto serra, il buco nell’ozono, quassù puoi credere che siano tutte balle, e puoi dimenticare che esiste la città, l’odore dei gas di scarico, quest’aria frizzante sembra disintossicarti i polmoni e la mente, ha il potere di annullare tutto ciò che di negativo hai lasciato a valle… e non esistono più lo stress del lavoro, la noia di giorni tutti uguali, la stanchezza di una vita troppo frenetica, i piedi mettono le ali ed io… io sono felice, pervasa dalla sensazione di eternità ed immensità che solo la montagna mi sa dare, mentre lo sguardo domina il mondo, vaga fino al mare, ed il cuore mi scoppia per l’emozione di un momento indimenticabile. Sono felice, lo sono stata poche volte in questo modo, è come vivere una piccola fiaba che parla di un mondo popolato di fate, di elfi, di allegri gnomi con cui ballare tra gli abeti innevati, mi sento incredibilmente piccola ed immensa nello stesso tempo e vorrei che il tempo… il tempo si fermasse. Solo per un po’. Il tempo di dire: basta, possiamo ripartire, ho fatto il pieno di gioia di vivere,  e posso di nuovo affrontare il mondo lontano da qui.
Da quanto tempo non mi sentivo così bene? Il tempo sembra essersi fermato, lo spazio non esiste più, un mondo incantato mi aspetta ogni mattino al di là delle persiane di legno, un mondo di alberi ruscelli prati laghi nuvole… un mondo dimenticato, lontano anni luce dalla mia vita di tutti i giorni che pure amo tanto, un mondo nel quale mi immergo e mi isolo come se non avessi mai aspettato altro, un mondo fatto soprattutto di silenzio, un mondo che trattiene il respiro e mi permette di ascoltare me stessa, di sentire il mio cuore e le voci dei miei sentimenti.
Sono felice ogni volta che domino il mondo da una vetta, ogni volta che ne scendo controllando muscoli e sci, sono felice di rialzarmi dopo una caduta, con la neve che si infila dappertutto e Carlo che ride con me. Siamo soli io e lui, soli come non succedeva da vent’anni, e ritrovo lentamente la serena contentezza delle amate banalità… che non ti soffermi mai ad apprezzare abbastanza.
Mi ha fatto bene andare via, mi ha fatto bene stare sola con Carlo, mi ha fatto bene come sempre affrontare la fatica dello sci e la bellezza della montagna… e stasera mi addormenterò con queste belle immagini nella mente, le immagini di questo mondo che amo, perché malgrado i suoi inganni i suoi orrori furori errori, malgrado le sue guerre violenze torture disgrazie, questo vecchio mondo mi piace… questo povero vecchio mondo malato è mio, ed io lo amo.


Mondo ti amooooooooooooooooooooooo!!!

mercoledì 18 novembre 2009

Ti troverò, per ringraziarti

Quasi invisibile nell’oscurità, l’uomo entrò nella stanza con passi felpati. Si avvicinò nel silenzio più assoluto al letto matrimoniale e vi fissò lo sguardo respirando in fretta. Antonio e sua moglie erano immersi nel sonno, vicini, inconsapevoli di quella presenza. L’uomo rimase immobile ai piedi del letto, poi fece qualche passo verso Antonio, si chinò su di lui e gli sussurrò all’orecchio: "sto ancora aspettando che tu mi ringrazi".
Antonio si svegliò di soprassalto, il respiro affannato, la bocca asciutta, il cuore che batteva con violenza. La sveglia segnava le tre, e nel buio le ombre assumevano forme minacciose. Aveva sognato. Lo stesso sogno di sempre, quel sogno dal significato tanto chiaro, quel sogno che da mesi gli avvelenava le notti. Si mise seduto, il viso tra le mani, sconvolto dalla sensazione di gelo, di solitudine, di impotenza che ogni volta il sogno gli lasciava. Era stanco, stanco di non dormire, stanco di non saper affrontare il suo problema, stanco di sentirsi stanco. Si alzò, andò in cucina senza accendere la luce, si sedette al tavolo e fece un respiro profondo. Guardò davanti a sè la sedia vuota , ripensò all’uomo chino sul suo viso ed annuì più volte. "Va bene", sussurrò al buio ed al sentore di quel sogno, "va bene, ti troverò, lo giuro, ti troverò, per ringraziarti". Poi tornò a letto, sfiorò con le dita i capelli della moglie e passò il resto della notte sveglio, a chiedersi in quale modo avrebbe mai potuto rispettare il suo giuramento. Verso l’alba si addormentò, sfinito ma sollevato per la decisione presa.
Nessuno lo avrebbe aiutato, lo sapeva. Non poteva chiedere, non sarebbe servito supplicare, doveva fare tutto da solo. Quel mattino si vestì con cura e salutò la moglie con un bacio come faceva ogni giorno prima di uscire per la sua passeggiata: "Oggi starò fuori un po’ più a lungo, devo fare una cosa importante, poi ti racconterò". Lei non chiese nulla, paziente e comprensiva come sempre, come poche donne sanno essere, fiduciosa in quell’uomo leale e fedele come pochi uomini sanno essere. Si volevano bene da quasi quarant’anni, e non avevano bisogno di molte parole per capirsi. Lei conosceva il suo tormento, e vide nel suo sguardo una determinazione che poteva avere un solo significato. Gli accarezzò una guancia e sorrise: "Allora ti aspetto per l’ora di pranzo".
Uscendo nell’aria tiepida di settembre, di nuovo si chiese se non fosse tutta una follia. Nessuno lo obbligava a farlo. Paura, aveva paura, paura di fallire, paura di sapere, paura che fosse tutto un errore. Alzò le spalle, basta, ormai hai deciso, vai fino in fondo, non hai più scelta. Salì in macchina, fece scaldare il motore, affrontò le curve aspre che lo avrebbero portato a Perugia ed alla biblioteca. Tranquillo, mormorò a se stesso, ci riuscirai, ci devi riuscire.
Chiese i giornali dei primi di febbraio. Tutti i quotidiani più importanti, con tutta la cronaca locale possibile. Doveva pur partire da qualcosa, da qualche parte. Passò la mattinata a sfogliarli con attenzione, una pagina alla volta senza saltare un solo trafiletto. La bibliotecaria, una ragazza carina e sorridente,  gli aveva suggerito la consultazione informatica ma lui non aveva dimestichezza con i computer, aveva chiesto il vecchio, rassicurante cartaceo. Forse con il computer avrebbe fatto più in fretta ma a lui il tempo non mancava. Poteva perderne quanto ne voleva.
Quella fu la prima di una serie di mattinate in biblioteca. La ragazza lo vedeva arrivare e gli porgeva i giornali, non aveva idea di che cosa cercasse ma gli piaceva il viso aperto dell’uomo, il suo sorriso gentile, la sua cortesia. Provava una sorta di tenerezza nel guardarlo leggere con attenzione ogni rigo, gli occhiali sul naso e l’espressione concentrata, isolato dal mondo intero, immerso nella sua ricerca di chissà cosa di chissà chi…
Antonio ci mise nove giorni. Poi trovò quello che stava cercando.
Il giornale  era del 10 febbraio e riportava le generalità dell’uomo, il luogo in cui era avvenuto l’incidente, un piccolo paese nel comune di Arezzo, e poco di più. Francesco, 6o anni, era caduto da un albero ed aveva riportato una commozione cerebrale seguita da coma irreversibile.  Il cuore di Antonio batteva con violenza, cercò di calmarsi senza riuscirci, si alzò, chiese alla ragazza di dargli quella stessa testata,  11 febbraio.  La ragazza lo osservò cercare in modo frenetico tra le pagine, lo vide impallidire, e si preoccupò nel vederlo con il viso tra le mani, sconvolto, emozionato, affannato.
11 febbraio. E’ morto ieri l’uomo di Arezzo caduto da un albero due giorni fa. I parenti hanno autorizzato il prelievo degli organi, avvenuta a cura dell’équipe del reparto trapianti di Pisa…
Il cuore di Antonio sembrava impazzito, aveva la gola chiusa dall’emozione, le lacrime agli occhi, la voglia di urlare; la mente faceva fatica ad afferrare fino in fondo il significato di ciò che stava leggendo . Ti ho trovato, sussurrò, ti ho trovato. Ti ho trovato.
La seconda ricerca fu più facile, e molto fortunata. L’elenco telefonico di Arezzo riportava una sola voce con quel nome. Antonio fissò sua moglie e le chiese: "Sii sincera, pensi che io sia pazzo?". Lei scosse la testa, sorrise: "Fai quello che devi fare". E lui compose il numero con le dita tremanti.
Due squilli, tre, quattro, risponditipregotipregotiprego, sei, sette, tipregorisponditipregotiprego, nove, mi sa che non c’è nessuno, poi all’improvviso una voce di donna, roca, un po’ brusca, "Pronto?". La moglie, forse, la figlia, chissà… che dico adesso? Antonio aveva immaginato migliaia di volte quel momento, si era preparato decine di belle frasi, ma non ne aveva neanche il minimo ricordo mentre annaspava alla ricerca  delle parole giuste. Così parlò a ruota libera, con la paura che lei buttasse giù la cornetta, senza prendere quasi fiato, senza darle modo di interromperlo. Le raccontò della sua malattia, della sofferenza, dell’attesa, di quella notte tra il 10 e l’11 febbraio in cui un donatore sconosciuto gli aveva regalato un fegato sano e con esso la possibilità della guarigione, del ritorno alla vita. Gli arrivava ogni tanto un sospiro breve, piccoli suoni che sapevano di pianto, allora rallentava, si fermava un attimo, continuando poi a riempire con la sua storia quel silenzio pieno di dolore . Raccontò del suo sogno, della sua sensazione che da quella notte un uomo lo accompagnasse in ogni suo momento, chiedendogli ripetutamente di ringraziarlo per il suo dono, e della sua decisione di pochi giorni prima, di come lo aveva cercato, di come non si fosse stupito che fosse veramente un uomo, del fatto che avesse la sua stessa età. Poi finalmente tacque, il respiro corto, la paura di sentirsi rispondere che aveva fatto male a chiamarla, di aver portato di nuovo dolore e lutto in quella casa, in quella vita. Quando lei parlò, gli fece l’unica domanda che Antonio non aveva previsto di sentirsi fare: "Mi dica, lei sta bene adesso?". Così ebbe la certezza di averlo trovato davvero,  ed anche di aver fatto la cosa giusta, perché lui aveva bisogno di ringraziare qualcuno, ma lei aveva bisogno di sapere che quella morte e quella decisione erano serviti a qualcosa, a qualcuno. "Sto bene signora, sì, sto veramente bene, avevo dimenticato cosa significasse stare bene davvero… era suo marito?". "Era mio marito".
Parlarono a lungo. Antonio stringeva la mano di sua moglie ed aveva il viso rigato dalle lacrime. Quando si salutarono lei promise di richiamarlo, quando avesse metabolizzato meglio la cosa, quando si fosse sentita pronta a farlo, la chiamerò, glielo prometto Antonio, la voglio conoscere, ma non ora, è troppo presto, troppo doloroso.


L’ho incontrato per caso, Antonio, un mese circa dopo che mi aveva raccontato di questa sua decisione, di quello che aveva fatto… Ero in sala d’attesa a parlare con una paziente e me lo sono trovato vicino, il sorriso dietro la mascherina che i trapiantati portano nei luoghi affollati, una gioia di vedermi che gli faceva brillare gli occhi. Ci siamo stretti la mano con affetto, lui fa parte del mondo che ho lasciato con dolore, gli ho chiesto come sta, e poi ovviamente gli ho chiesto di quella storia, com’è andata a finire Antonio, ci sei andato poi al cimitero?
Certo che ci sono andato, Anna. E continuo ad andarci, vado sulla sua tomba almeno due volte il mese, come se fosse un mio parente, un amico carissimo, e tutte le volte lo ringrazio, e mi sembra, come dire, che lui sia lì a rispondermi, a farmi l’occhiolino. La moglie mi ha richiamato proprio due giorni fa, dopo più di un mese, non me l’aspettavo più ormai, invece mi ha detto di non aver mai smesso di pensarci, vuole conoscermi, conoscere mia moglie, la mia famiglia, e di nuovo ha voluto sapere se sto bene, io sto benissimo Anna, ancora meglio ora che ho saputo, lo so che per legge il donatore deve rimanere anonimo, ma io stavo impazzendo, dovevo fare qualcosa.
Ci siamo salutati con un abbraccio, la moglie sempre vicina, piccolina e sorridente, semplice e buona come lui, un amore che le illumina gli occhi ogni volta che lo guarda. Ho il cuore stretto mentre lascio la sala d’attesa e rientro nel reparto in cui lavoro adesso, ho sentito tante storie belle negli anni in cui ho lavorato con i trapiantati, ma questa mi ha commosso più di tutte le altre, l’ho raccontata a tante persone, ed ogni volta immagino Antonio che lascia il cimitero col cuore leggero, libero finalmente dal suo tormento, sereno dopo aver ringraziato, di nuovo, quello sconosciuto che morendo gli ha donato una nuova vita.

 

 

Una risposta a Ti troverò, per ringraziarti.

  1. Agnese scrive:
    L’ho riletta e di nuovo mi sono emozionata per questa stroria… Io non credo nell’aldilà, non credo in Dio, però credo nell’amore tra gli uomini qui sulla terra e questo è un chiaro segno di amore, altruismo, generosità e gratitudine tra persone sconosciute ma legate tra loro, anche se in modi diversi, dalla cosa più bella: il dono della vita!