Bianca aveva vent'anni ed era bellissima. Bionda, occhi chiari, fisico da fare invidia ad un'indossatrice. Studiava in Toscana, lontano da casa, per realizzare quei sogni meravigliosi che tutti abbiamo fatto a vent'anni.
L'ho conosciuta in terapia intensiva, una notte in cui mi sono recata da lei in urgenza per una plasmaferesi. Il suo fegato aveva smesso di funzionare in seguito ad una epatite fulminante, ed era in attesa di un trapianto in superemergenza nazionale, situazione che si crea quando il paziente è in serio pericolo di morte e non si può aspettare che in zona ci sia un donatore compatibile, per cui l'emergenza si estende a tutta la nazione ed il primo organo disponibile, anche controgruppo se necessario, viene trapiantato al paziente. Nel frattempo, per mantenerlo in vita, si sostituisce grazie alla plasmaferesi, procedura in circolazione extracorporea, qualche litro di plasma del paziente con altrettanti litri di plasma da donatore sano.... e questo due volte al giorno finché il trapianto non risolve la situazione, per compensare al mancato funzionamento del fegato.
Lei mi ha colpito per la giovane età, era poco più grande della mia figliola maggiore. Per la bellezza, malgrado le condizioni ben poco favorevoli. Per la determinazione e l'ottimismo, pur cosciente di quel che le stava succedendo. E come altre persone incontrate in questo lungo difficile cammino di infermiera, oggi occupa un posto speciale nel mio cuore.
Mi osservava con attenzione mentre preparavo la macchina, volle sapere tutto quello che stavo facendo e perché, spinta da una curiosità colma di speranza. Sapeva che la sua vita era appesa ad un filo ma non aveva niente di quella paura che spesso spinge i pazienti a chiudere gli occhi e rinchiudersi in un mondo tutto loro. Lei aveva gli occhi spalancati sul mondo, e quella notte su di me. Mentre la macchina lavorava, parlammo per ore. Mi raccontò tutto di sé. I suoi sogni, la sua vita. Soprattutto quel suo desiderio di diventare una brava giornalista, ed il piacere che ricavava dal raccontare storie ascoltate da altri. E all'improvviso, trovandomi del tutto impreparata, mi chiese: "Raccontami una storia. Quando guarirò, la scriverò per te, in ricordo di questa notte e per ringraziare un'infermiera dolcissima". Mi venne un groppo in gola e cercai di glissare: "Non è così speciale la mia vita, non da scriverci una storia"... e lei mi rispose "lo è di sicuro, perché tu sei una persona speciale".
Allora iniziai a parlare. Mentre il suo sangue scorreva nella macchina che si sostituiva momentaneamente al suo fegato, le raccontai un episodio della mia vita che poche persone conoscono. A lei, una perfetta sconosciuta, raccontai una cosa profondamente mia. Lei mi stringeva la mano e non staccava gli occhi da me. Quando la procedura finì avevamo tutt'è due gli occhi lucidi, e benché fossi molto stanca mi dispiacque salutarla. Ci vediamo presto, Bianca... mi raccomando sii serena. Le diedi un bacio sulla fronte, lei mi ringraziò e finalmente chiuse gli occhi lasciandosi andare al sonno.
Nei due giorni successivi, a turno i miei colleghi si recarono da lei portandomi notizie sempre peggiori. Da uno stato soporoso entrò in coma nel giro di due giorni. Quella ragazza coraggiosa non riusciva più a difendersi dagli attacchi di quel maledetto mostro. Quando entravo o uscivo dall'ospedale, guardavo le finestre della terapia intensiva e pensavo tieni duro Bianca, ce la devi fare. Poi la buona notizia: un organo disponibile, la portano in sala operatoria tra poco.
Ma il suo destino non era in sala, dove non arrivò mai: un arresto cardiocircolatorio mise fine ai suoi sogni, ad un passo dalla probabile salvezza.
Bianca rimarrà sempre in un angolo del mio cuore, tra le troppe vite spezzate che ho incontrato sulla mia strada di infermiera. Ho sofferto per molti di loro, ma spesso sono riuscita ad usare la mia competenza e la mia professionalità per non farmi coinvolgere, per difendermi dal dolore. Per Bianca, come per Alessandro, come per troppi altri giovani e meno giovani, non sono riuscita a non piangere, ed il tempo non ha cancellato il loro ricordo e quel dolore.
Di Bianca credo di aver parlato solo a mio marito, al momento in cui la conobbi. So bene perché solo oggi, dopo almeno tre anni, ho deciso di parlarne qui, per chi vorrà leggere e pensare, come sto facendo io, a quanto fragile e preziosa è la nostra vita, a quanto amore certe madri non possono più dare, a quanti figli se ne vanno lasciando un vuoto incolmabile, un dolore infinito. E di nuovo come tante volte penso: abbracciamoli forte i nostri figli, facciamo pace con loro se ci abbiamo litigato, non lasciamo che stupidi battibecchi ci portino a dire cose che non pensiamo davvero, diamo loro senza vergognarci quei gesti per i quali forse protesteranno, ma che raccontano loro del nostro amore... diciamo loro quanto sono fortunati perché sono sani, e quanto siamo fortunati noi che li abbiamo vicini. Facciamolo per ogni madre che non ha potuto trattenere suo figlio a sé.
La speranza è un essere piumato che si posa sull’anima,
canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l’armonia,
e solo una tempesta violentissima
potrebbe sconcertare l’uccellino
che ha consolato tanti.
L’ho ascoltato nella terra più fredda
e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità
ha chiesto mai una briciola – a me.
Emily Dickinson