Ho letto ultimamente un libro che si chiama "Le fusa di Oscar", scritto dal dottor David Dosa, geriatra. E' un libro che mi ha fatto riflettere molto... e che mi ha fatto anche male a dire il vero, perché parla, sia pure in modo sereno e con parole semplici, di una malattia terribile, incurabile, che distrugge il paziente e le persone che lo assistono: la sindrome di Alzheimer, che ha accompagnato mio padre alla morte a soli 62 anni, dopo otto anni di malattia e di vita che vita non era più.
Oscar è un gatto, solo un bel gatto, che ha la particolare capacità di accorgersi quando uno degli ospiti della casa di cura in cui vive, ospiti spesso affetti da demenza, sta per varcare la soglia della morte. Nel suo libro, che racconta della sua esperienza reale, il medico cerca una spiegazione a questo fatto e la trova nell'odore che l'essere umano emette nelle sue ultime ore, quando con la morte delle cellule i carboidrati sono degradati in altri composti chimici tra cui i chetoni, che danno un odore caratteristico. Forse Oscar, grazie all'olfatto sopraffino dei felini, sente questo odore, e questo spiegherebbe perché si accorge che quel paziente sta morendo... ma perché decida proprio allora di accoccolarsi accanto a lui e di rimanervi fino al suo ultimo respiro, anzi finché non lo portano via, per questo no, non c'è spiegazione.
Se devo essere sincera non è il comportamento del gatto che mi ha colpita in questo libro. Della sensibilità di queste meravigliose creature che qualcuno (che non li conosce affatto) definisce egoisti, non mi stupisco più. E' per come si affronta l'argomento Alzheimer che l'ho letto con la gola chiusa, e con un torrente di ricordi che mi correva incontro e mi travolgeva senza che potessi far niente per fermarlo. Mi è successo anche qualche mese fa, guardando il bel film "Una sconfinata giovinezza"... l'ho guardato col cuore stretto, e dopo ho pianto come una bambina, per i troppi ricordi dolorosi che certe scene mi avevano fatto rivivere.
Sono passati ormai più di quindici anni dalla morte di mio padre. Silvia aveva compiuto cinque mesi e lui non aveva neanche realizzato di avere una nuova nipotina.
Quando il neurologo mi consegnò con fredda indifferenza quella atroce diagnosi, ho creduto di morire soffocata, non riuscivo a crederci, mio padre aveva solo cinquantaquattro anni, era in pieno benessere, era un uomo giovane e pieno di vita, e quella diagnosi era peggiore della morte. Non dimenticherò mai l'indifferenza di quel medico, ma soprattutto non dimenticherò mai quello che ho provato quel giorno, il dolore forte, l'angoscia del doverlo dire a mia madre, la paura per il futuro, e la pietà, la pietà immensa per quell'uomo col quale non ero mai andata d'accordo ma al quale riconoscevo comunque tutti i pregi, soprattutto quello di aver sempre aperto la sua casa a chi ne aveva bisogno o a chi semplicemente desiderava entrarci, come i miei amici. Un uomo orgoglioso, indipendente, molto attaccato alla sua famiglia, severo con i figli, troppo severo ma oggi so che faceva parte della sua educazione, un uomo del sud e della sua epoca non poteva dimostrare mai tenerezza o debolezza... eppure con i suoi nipoti era dolcissimo, si scioglieva come burro al sole, li riempiva di baci, li coccolava, li viziava, faceva insomma tutto quello che aveva negato a noi... sono felice che abbia avuto perlomeno la possibilità di conoscere i suoi due primi nipotini, di averli tenuti in braccio, di averci scherzato, Erika si ricorda a malapena di lui ma perlomeno io ho avuto la possibilità di vedere il lato tenero di mio padre, quello che credevo non esistesse.
Sono stati otto anni terribili quelli che dalla diagnosi hanno portato alla sua morte. Otto anni iniziati con il tentativo di riprendere la sua vita normale... ma la sua vita, normale non è stata mai più. Dopo il ricovero, ripreso il lavoro, passava da me a prendere l'endovenosa che gli era stata prescritta... e mi descriveva la sua confusione, si rendeva conto di non essere lucido, io sdrammatizzavo, lo stimolavo, ed avevo il cuore stretto in una morsa. Dopo pochi giorni uscì dal lavoro per recarsi in trasferta e tornò indietro dopo poco... non ricordava più cosa doveva fare.
Fu solo l'inizio. Tutto il resto non sto a raccontarlo. Otto anni di sofferenza per lui e per mia madre. Il tentativo di tamponare i peggioramenti man mano che si presentavano, i ricoveri a Firenze, la mancanza di centri specializzati e di aiuti concreti, la fase depressiva, quella aggressiva, quella ipocondriaca......fino al niente, al non essere più niente, solo un corpo distrutto. Un percorso doloroso e faticoso che ha lasciato tutti terribilmente provati, soprattutto mia madre. Ed oggi, a distanza di più di quindici anni, ancora il senso di vuoto. E' morto con la sua mano nella mia, ma non sono stata capace di fare altro che ascoltare il suo respiro rallentare, il suo polso fermarsi, non sono stata capace di piangere. Aveva smesso di soffrire, finalmente; aveva smesso di star male e far star male mia madre, ed io mi vergognavo di me, del mio sollievo, ma quella notte quello ho provato, sollievo.
Il dolore è venuto dopo. E lo provo ancora. Quando penso a quel medico ed a quelle parole indifferenti. Quando ricordo la nostra casa sempre piena di gente allegra. Quando penso al suo modo di ridere. Quando lo guardo nell'unica foto che tengo in casa, dove lui suona la fisarmonica e sorride. Quando realizzo che la sua atroce malattia gli ha tolto quella parte di vita in cui di solito si raccolgono i frutti di una vita di lavoro, noi figli eravamo ormai grandi ed accasati, la casa in cui viveva con mia madre era diventata loro, ed insieme a mia madre faceva progetti di vacanze e di viaggi da fare una volta in pensione. Non ha vissuto niente di tutto questo. Niente.
Mi chiedo se qualcosa di lui è rimasto. Non di quel povero rudere che se n'è andato quella notte di agosto, ma di mio padre, quello della mia infanzia, quello che mi portò via dall'ospedale per farmi vedere Il Libro della Giungla, quello che durante una nottata che non dimenticherò mai mi ha permesso di stare sveglia accanto a lui per guardare il primo sbarco sulla luna, quello che mi ha portata per la prima volta nel museo egizio di Torino, quello che mi ha costruito una bacheca di legno che fa bella mostra di sè nella mia cucina, quello che suonava il benjo, il mandolino, la fisarmonica, quello che mi preparò un meraviglioso falò per farmi festeggiare l'ultimo dell'anno con i miei amici, quello che mi ha accompagnata all'altare con gli occhi lucidi... mio padre l'elettricista, mio padre che sapeva aggiustare tutto, mio padre geloso e severo ma anche cordiale e socievole con tutti, mio padre intelligente, mio padre musicista, collezionista, artista, generoso, curioso, emotivo, onesto, orgoglioso... mi chiedo se può vedermi, se può sentire il mio dispiacere per tutte le grane che gli ho dato da adolescente, e per non essere mai stata capace, almeno non a parole né a gesti, di dimostrargli il mio affetto.
Dove sarai, papà.
Tu non ce l'avevi Oscar quella notte accanto a te. Avevi molto di più. Avevi i tuoi figli, i tuoi generi, tua nuora, tua moglie, tuo fratello, i tuoi amici, i tuoi parenti... la testimonianza del fatto che nella tua vita avevi meritato amore.
E per sdrammatizzare un po' concludo con una frase letta proprio in questo libro, e che mi ha fatto sorridere tra le lacrime:
"Un cane viene quando lo chiami. Un gatto registra il messaggio e ti richiama".
Ciao Anna, la tua testimonianza e' molto commovente, mi dispiace di come sono andate le cose, vedere un padre man mano deperire e' una cosa straziante, far finta che vada tutto bene, per lui... tutta la famiglia rimane sconvolta da questo fatto, la morte forse un sollievo, ci consoliamo pensando che almeno non soffrono piu', ma e' molto triste perdere una persona cara, specialmente cosi' giovane, ti sono vicina con un abbraccio sincero, anche la storia del libro del gatto e' molto suggestiva e commovente, fa riflettere e si ridimensiona un po' tutto, quando ci avviciniamo a certi argomenti, i nostri pelosetti fanno di piu' di quello che si potrebbe pensare, hanno una marcia in piu', quindi siamo fortunati ad averli vicino, guai se mancassero, ciao cara bacioni a presto rosa.)
RispondiEliminaTesoro mio, stempera tutto questo dolore in quella che, lo so, è una certezza che tu non trovi, ma io HO...e voglio solo donarti: IL TUO PAPA' E' MOLTO PIU' VICINO A TE DI QUANTO TU NON CREDA, SENTE LE TUE PAROLE, LE TUE EMOZIONI, IL TUO AMORE !!!!!!
RispondiEliminaEd è finalmente nella Luce...
Ap. 21,4:
"...e tergerà ogni lacrima dai
loro occhi;
non ci sarà più la morte,
nè lutto,
nè lamento,
nè affanno;
perchè le cose di prima sono
passate".
Ti voglio bene,
prego x la tua serenità e per la sua anima.
Maddy
Ciao Anna... ripasso perchè mi era piaciuto il tuo blog e trovo questo racconto del cuore.
RispondiEliminaHo letto senza quasi respirare... per 2 motivi.
Il primo è che ho sentito fra le parole un grande amore e ho ripensato al mio, immenso, per il mio papà.
Anche io ho potuto accompagnarlo fino all'ultimo e gli tenevo la mano mentre se ne andava.
Anche a me manca sempre tantissimo...
Il secondo è che ho 54 anni e mi imamgino cosa possa significare una diagnosi devastante in un'età tutto sommato ancora piena di energia e di aspettative. Per chi ha questa età e questi problemi e per chi gli sta vicino...
Ecco.
Adesso mi pare cìdi aver parlato già troppo... e me ne vado in punta di piedi dopo averti abbracciata.
Carissima Rosa, carissima Maddy, grazie di cuore per le vostre parole e per il vostro calore... ero veramente triste ieri mattina, quando ho scritto queste parole... ultimamente mi torna spesso in mente mio padre, prima il film, poi questo libro (che aveva letto prima mio marito e che mi aveva passato proprio per l'argomento trattato), i ricordi ultimamente sembrano non volermi dare pace, e scopro inaspettatamente ed amaramente di non aver mai superato quel dolore. Maddy, sai che non posso trovare consolazione in qualcosa in cui non credo... anche se nello stesso tempo non accetto di pensare che di chi muore non resti niente. Non so cosa... ma so che da qualche parte, in qualche modo, qualcosa di mio padre è rimasto. Sai... forse quella malattia, insieme a troppe altre cui assisto ogni istante della mia vita, ha contribuito a farmi allontanare dalla fede. Stranamente, mia madre se ne è invece riavvicinata.
RispondiEliminaKaishe... anch'io mi avvicino velocemente all'età che aveva mio padre nel momento della sua diagnosi. Ho cinquantun anni tra pochi giorni, e mio marito ne ha quattro di più... e mi sento giovane, ho mille progetti, sono piena di interessi e di entusiasmo, e non sopporto l'idea che nel pieno della vita, anzi quando avrebbe potuto iniziare a godersela, tutto si sia sgretolato per mio padre come un castello di sabbia al vento. Grazie per le tue parole... sto leggendo il tuo blog, anzi ho lasciato un commento su un post di circa un anno fa... sai usare le parole come poche persone sanno fare, in un modo che colpisce dritto al cuore. Grazie.
Anna cara (hai il nome della mia mamma, sai?),
RispondiEliminaho letto i tuoi commenti in "moderazione".
Non nego che mi hanno fatto piacere ma, da buona donna di montagna (Carnica) mi hanno imbarazzata.
Non posso che ringraziarti.
Mi piacerebbe parlare con te della Fede.
E ti racconterei dei momenti di alto e basso che ho vissuto insieme con la tenerezza di ritrovarmi come abbracciata da Gesù ad ogni ritorno.
Ti racconterei dei problemi con la chiesa. Altro punto in comune con il mio papà che ha anche pianto per gli sgarbi di certi sacerdoti.
Ti racconterei che, dopo un periodo di lontanza, mi sono tornata ad avvicinare alla Chiesa a seguito di problemi di mio figlio e mi ci sono sentita a casa perchè a me è capitato di confrontarmi con uomini di Chiesa davvero grandi... davvero uomini.
Ti racconterei come sono... direi che pian piano lo possiamo fare.
Lo spero davvero perchè in prima battuta mi hai colpita molto. E favorevolmente.
Ai prossimi incontri, allora.
Mandi da licia (questo è il mio nome. Kaishe era il mio nomignolo quando avevo l'età della foto)
Parla con tua madre, tesoro...chiedile il perchè.
RispondiEliminaTi abbraccio...
Maddy
Cara Licia-Lucia-Keisha, sto leggendo un po' alla volta il tuo blog e molte cose che mi accenni qui le sto non dico scoprendo ma almeno intuendo... e sia a te che a te, Maddy, rispondo la stessa cosa: io invidio chi la fede la possiede, invidio la forza e la consolazione che ne trae, invidio il sentirsi protetti ed il sapere a chi appoggiarsi nei momenti difficili, ed il trovare una ragione negli eventi drammatici e nella sofferenza... non ho dimenticato (e l'ho scritto in questo stesso blog) che quando è nata la mia prima figlia, nascita piuttosto difficile, ho pregato con tutta me stessa che tutto andasse bene prima che l'anestesia mi facesse sprofondare nel niente. Ma già a quel tempo la mia fede vacillava moltissimo. A volte le grandi prove cui ti sottopone la vita ti fanno avvicinare a dio (vedi mia madre, appunto) a volte invece, com'è successo a me, te ne fanno allontanare. Se un dio esiste, non so perdonarlo di quello che è successo intorno a me negli anni. Se esiste, non sono in grado di sentirlo. Stimo moltissimo le persone come voi... ammiro la vostra costanza, il vostro credo, così come stimo moltissimo i principi di religioni come quella musulmana, e capisco veramente, proprio perché l'ho provato, quanto faccia bene credere. Ma questa cosa, semplicemente, non mi appartiene più. L'ho persa per strada, e non sono tornata indietro a cercarla. So che il mio percorso non può riassumersi così, con poche parole... ma è così che mi sento, e spero mi capirete.
RispondiEliminaUn abbraccio ad entrambe.
Ciao Anna, la perdita di una persona cara, ha bisogno di tempo per essere accettata e assimilata, si tende ad avere un atteggiamento ostile, e' umano, ma se ti vengono in mente questi ricordi non prenderli come cose tristi e' un modo penso per reintegrare la loro mancanza attraverso i mezzi che abbiamo a disposizione, appunto i ricordi, saranno sempre con noi, fanno parte della nostra esistenza, come punti di riferimento, fanno riflettere, ci danno la forza di continuare a vivere sfruttando la nostra vita meglio che possiamo, per loro, anche se non ci sono piu',ma inconsciamente li sentiamo sempre presenti, ognuno reagisce al dolore a proprio modo
RispondiEliminae trova con il tempo serenita' , ciao un abbraccione baci rosa.)
Buongiorno Anna.
RispondiEliminaHo qualche giorno di agitazione, tra casa e lavoro, e passo poco dal blog.
Però ho pensato molto a te e alle parole che mi hai lasciato scritto lungo il percorso dei miei ricordi su queste pagine.
Con calma ci conosceremo meglio.
Mi farebbe molto piacere.
Un abbraccio!!!
Anna... ho visto che stai leggendo ancora.
RispondiEliminaIl numero dei commenti dei primi tempi era davvero da record.
Facevamo i turni di post e io avevo il lunedì.
Eravamo una bella compagnia e poi hanno cominciato ad affiorare scrzi, all'inizio di carattere politico (sigh) e infine ci siamo allontanati.
Giusto questo Natale ho mandato un SMS a tutti quelli di cui avevo il nr. ma mi hanno risposto solo in 3...
Capita. Anche nella vita quotidiana.
Invece... tanto per buttarla in ridere.
Confermo che i "superflui" non so mai come trattarli...
Ha ha ha ha ha ha ha
P.S.: dal 28 aprile al 3 maggio sarò a Roma.
RispondiEliminaCi vado con mio figlio (ti parlerò di cose più personali in mail) per la beatificazione di Woytila...
Rosa carissima, e carissima Licia, come sempre leggo i commenti ogni giorno, ma non sempre ho il tempo di rispondere subito. Lo faccio come sempre in ritardo, ma come sempre nel momento giusto, quando la fretta non mi costringe a dare risposte banalmente cortesi e frettolose. Mi sveglio ora, dopo una notte dura di lavoro e poche ore di recupero, un giorno parlerò su questo blog di come vivo ogni trapianto, e di come malgrado la stanchezza che segue a queste lunghe nottate io mi senta comunque un pezzo piccolo ma importante di questo complesso ingranaggio (una delle viti della tua nave, Licia!).
RispondiEliminaRosa cara, è difficile per me pensare a mio padre con serenità. Non solo per la terribile malattia che lo ha portato da essere un uomo attivo e pieno di vita a un povero corpo senza quasi più parole nè pensieri, ma anche perché sono spesso assalita dai sensi di colpa per non aver mai avuto né voluto un buon rapporto con lui, per non aver mai cercato di capire cosa ci fosse oltre quella sua corazza dura, di non essermi resa conto, se non quando era davvero troppo tardi, di quanto tenero fosse invece il suo cuore dietro quella corazza. In adolescenza ho avuto con lui scontri durissimi ed ho capito anche qui troppo tardi quanto la sua severità derivasse dalla preoccupazione per quella figlia ribelle ed anticonformista proiettata in un mondo di cui probabilmente lui vedeva tutti i pericoli di cui io invece non ero cosciente. Se al di là della morte esiste qualcosa, ed io lo spero, ho bisogno di credere che un giorno ci ritroveremo e che io possa finalmente sciogliermi in quell'abbraccio che non gli ho mai concesso. E ti dico questo con le lacrime agli occhi.
A te Licia vorrei veramente dire molte cose che però prima di tutto renderebbero questo commento un romanzo... e poi, dopo aver letto tante tue parole (ho scoperto come leggere nei tempi giusti e non più a ritroso, ma sono ancora al 2008...) sento che puoi capire quello che provo senza bisogno di molte spiegazioni. Anche a me piacerebbe conoscere quella persona che ad ogni pagina ammiro di più, anche se stai facendo rafforzare in me il mio senso di inferiorità :(( nei confronti di chi come te usa le parole in modo davvero magistrale, e sa esprimere pensieri che condivido come io mai saprei fare.
Continuerò a leggere piano piano... e, beh... io certo non arriverò mai ad avere screzi per motivi politici, né con te né con chiunque, perché al di là della mia fede politica e di ogni altro genere, cerco di capire e rispettare quella di chiunque altro, anche quando stride molto con la mia. E qui chiudo, prima che questo commento diventi insopportabilmente lungo (ma forse lo è già) anche perché devo prepararmi ad affrontare un pomeriggio bello ma pesante con le mamme di bimbi celiaci diagnosticati da poco.
Un abbraccio ad entrambe!
Anna
Buongiorno carissima Anna...
RispondiEliminaAdesso è il mio turno di confessare quanto mi senta - moltissime volte... - inferiore io a chi ho di fronte.
A te, per esempio.
Per quello che fai nella tua vita.
Per come lo fai.
Io mi consolo pensando che quando una eprsona si affianca a noi nel cammino della vita non è per instaurare una gara con noi, ma per avere uno scambio che faccia crescere entrambe.
Adesso siamo affiancate tu ed io.
...
E io mi giro per abbracciarti.
Anna cara,ho letto ancora ieri sera questo tuo post e sono ancora commossa,anche per alcuni bei commenti,perché per me è particolarmente coinvolgente, avendo vissuto in famiglia l'odissea della terribile malattia che ha colpito il tuo babbo, con mia suocera,una donna intelligente, colta, infermiera come te,innamorata del suo lavoro, che ha esercitato fino a 65 anni,splendida nonna per il mio unico figlio, come una seconda mamma per me. Lei è stata colpita
RispondiEliminadal morbo di Alzheimer all'età di 69 anni e per 5 anni abbiamo vissuto più o meno le stesse tappe del vostro dramma, impotenti a contrastarlo e sfiniti fino a pregare Dio che il suo e il nostro calvario terminasse al più presto, perché negli ultimi mesi non riconosceva più nessuno della famiglia.
Oscar invece mi ricorda la gatta di uno zio paterno,affetto da un male incurabile, che si è acciambellata ai piedi del suo letto, dopo il suo ultimo ritorno a casa dall'ospedale e non si è mossa da lì per una settimana, senza toccare cibo finché lui è spirato
Luigina... l'Alzheimer è una malattia terribile, maledetta e senza scampo, che toglie dignità a chi ne è affetto e pace a chi sta intorno, che rende una persona come mio padre, come tua suocera, un rudere senza volontà, senza ricordi, senza più nessuna indipendenza, senza più una vita che sia degna di essere chiamata così. Mio padre oggi avrebbe 79 anni, avrebbe visto crescere i suoi nipoti, avrebbe assaporato la serenità della pensione, avrebbe forse trovato la strada, visto che anch'io lo volevo, di un nuovo rapporto tra noi due, e concretizzato qualche piccolo sogno fatto insieme a mia madre nei momenti difficili della loro esistenza insieme.... non ha potuto vivere niente di tutto questo, e come se non bastasse non abbiamo avuto aiuto da nessuna istituzione o struttura qui a Pisa. Sono ancora arrabbiata per tutto questo e lo sarò probabilmente per sempre, tanto da non essere più capace di leggere o sentire qualcosa sull'Alzhemer senza sentire un terremoto sconvolgermi il cuore e l'anima. Spero che tu non abbia vissuto la malattia di tua suocera nella stessa maniera, ma il fatto che tu abbia pregato che quel calvario finisse la dice lunga su quel che lascia questa orribile malattia anche in chi vi assiste.
RispondiEliminaUn abbraccio, virtuale ma sincero.
Anna
Perdonami Anna se ho riaperto col mio commento una ferita dolorosa nel tuo cuore e nella tua mente. Succede spesso anche a me,soprattutto quando leggo o sento parlare di questa terribile malattia e capisco benissimo lo strazio che hai provato allora e cosa provi ora ripensando a quello che avrebbe potuto essere la vostra vita senza il suo crudele intervento.Noi siamo credenti e praticanti, ma allora anche in noi la fede ha vacillato più volte, come hai giustamente intuito.Gabriele, mio marito,ed io, quando quella malattia è entrata nella nostra vita,abbiamo cercato di saperne di più su di essa,partecipando ad incontri con le famiglie di coloro che vivevano lo stesso dramma e medici e infermieri che lavoravano nel reparto specializzato,appena aperto vicino a casa nostra per la diagnosi e l'assistenza ai malati, leggendo libri sull'argomento. Gabriele era ossessionato dall'idea che fosse ereditaria e voleva sottoporsi a degli esami specifici che allora però non gli avrebbero dato la certezza assoluta, né la percentuale di probabilità di esserne colpito anche lui e che il dramma avrebbe pesato ancora sulla nostra famiglia.Non so se ho fatto bene, ma io mi sono opposta e sono riuscita a convincerlo che saperlo in anticipo ci avrebbe amareggiato ancora di più tutto il resto dell'esistenza,ma che dovevamo godere senza rimandare a domani tutte le cose belle che potevamo fare insieme, per non avere rimpianti se davvero sarà destino che ci toccherà ancora.Forse non ci siamo riusciti sempre, perché altri impedimenti, indipendenti dalla nostra volontà, sono sopraggiunti e ci auguriamo che la scienza e la medicina riescano a scoprire al più presto, come prevenire e curare o almeno bloccare l'evoluzione, come pare abbiano scoperto recentemente, di questo autentico flagello dell'umanità. E quando qualche piccolo sintomo della malattia, che a posteriori abbiamo creduto di scoprire come avvisaglia nella sua evoluzione nel caso di mia suocera, non ti nascondo che l'inquietudine di allora ci assale, ma per fortuna riusciamo a sorriderne ancora e allora ci ributtiamo a capofitto, con nuova energia ed entusiasmo nelle cose che ci piacerebbe fare prima che sia troppo tardi. Ti abbraccio anch'io con sincero affetto e ti auguro un sereno fine settimana con le persone che ami e ti amano
RispondiEliminaCiao Luigina... sono stata ossessionata anch'io per molto tempo dalla paura dell'ereditarietà dell'Alzheimer... a suo tempo i medici mi dissero che non è ereditario, forse c'è giusto una percentuale non significativa di familiarità, e per tanto tempo ne sono stata terrorizzata al punto che ho fatto giurare a mio marito che non mi avrebbe fatto fare la fine di mio padre..... Oggi che i miei anni sono ormai molto vicini a quelli di mio padre alla diagnosi, questa paura non mi ha abbandonato ma non mi ossessiona più. Come dici tu, cerco di fare tutte le cose che desidero prima che sia troppo tardi, e incrocio le dita.
RispondiEliminaLa ferita non l'hai riaperta tu... è lì che sanguina da quel lontano 26 maggio 1987, quando i miei genitori ed io abbiamo aspettato la nascita del primo figlio di mia sorella Marlène, e mio padre si è commosso come un bambino guardando il suo primo nipotino dietro il vetro della nursery... poi, riaccompagnando mia mamma a casa, le chiese seraficamente, senti, ma Marlène quando partorisce?
Buona serata Luigina... e brindiano alla vita, tanto fragile e breve, ma l'unica che ci è concessa. Da ragazzina sul mio diario ho scritto tante volte: sorridi alla vita, e la vita ti sorriderà. Proviamo a crederci ancora.... :)
Stopiangendo; faccio tesoro della tua esperienza per stare più vicino a mio papà che è sofferente. Così lontane eppure così vicine.
RispondiEliminaSono senza parole, incantata dal coraggio che avete, hai dimostrato in questo momento terribile della vita.
RispondiEliminaNon voglio rimettere a girare tutto.. il ricordo di per sè che hai scritto racchiude tutto.. sono commossa e inebetita dal progredire della vicenda... so come ci si sente anche se un po' da lontano...
Non posso che abbracciarti stretta stretta in questo giorno di ricordo di tutti i padri..vicini e lontani. Un abbraccio Jé
Un post molto bello..ma non comprendo il rancore verso il medico.
RispondiEliminaQuello non è un familiare e se non è fornito di umanità basta alzarsi e andarsene..ed aggiungo senza pagargli la parcella.