2 febbraio, ore 2,40
E’ stata una domenica piovosissima, passata con gli amici di sempre, a giocare a carte ed a ridere di tutto e niente, a sgranocchiare troppe schifezze ed a sentirmi tutto sommato in pace con il mondo. Stasera, come succede spesso quando Carlo lavora, faccio fatica a dormire… e poco fa mentre scivolavo nel sonno, senza un motivo apparente, forse solo pensando a quanto sono preziosi gli amici, si è insinuato tra i miei pensieri il ricordo di una giornata di moltissimi anni fa, uno dei tanti ricordi relegati da tempo in uno scrigno prezioso e un po’ polveroso che ritrovo ogni tanto in un angolo buio e che apro con il cuore un po’ in tumulto, ogni volta con un’emozione nuova ed inattesa, ed una domanda incredula: come ho potuto dimenticare per tanto tempo, dimenticare momenti così particolari, e come potrò adesso che li ho ricordati relegarli di nuovo in quel vecchio scrigno? Eccolo… ecco il dolore, come poteva non arrivare? E dire che per qualche contorto sentiero i miei pensieri si erano limitati ad arrivare in silenzio in un anonimo condominio della periferia di Torino, in una piovosa sera come questa, dopo una serata in birreria, in allegria, in compagnia di amici stupendi, una serata piena di quiproquo terminata in un lettone matrimoniale in compagnia di Strumptruppen a ridere da sola in silenzio, con sensi di colpa giganteschi nei confronti di Enzo e Paolo che si erano adattati sul divano letto a una piazza e mezzo in cucina… come mai, mi sono chiesta un attimo fa, come mai quella sera non andai in cucina ad abbracciare Paolo, a ringraziarlo per la sua presenza, per la sua lealtà, per quel gesto da cavaliere così insolito da parte di un ragazzo di diciannove anni? Perché non ci è dato di capire nel momento giusto che avere un amico, un vero amico, è quanto di più bello e prezioso si possa desiderare? Com’è possibile che io quella sera mi sia limitata a sentirmi in colpa e non abbia capito quanto affetto c’era in quel semplice gesto? Com’è possibile che io non abbia costretto Enzo a tornarsene a casa all’uscita dalla birreria, com’è possibile che io non mi sia indignata al pensiero del motivo per cui Paolo quella sera lo pregò di venire anche lui a dormire a casa sua? Perché maledizione non ci ho riso su, perché non ho chiesto a Paolo di non fare il cretino, perché non gli ho detto che avevo troppa fiducia in lui perché fosse necessaria una cosa simile, perché non gli ho detto, visto che lo pensavo, che non mi sarei fatta problemi neanche a dormire con lui nello stesso letto?
Lo so che sono domande inutili, che non vogliono né avranno risposte. Ma ricordando quella sera mi sento così stupida, così immatura, così incapace di voler bene, così presuntuosa perfino! E come sempre quando penso a Paolo o ad Aldo, maledico quel 15 dicembre ed il destino che non concede mai, neanche per un attimo, di tornare indietro e di avere la possibilità, solo quella, di guardare negli occhi i miei amici e dir loro, soltanto, grazie… per il bene che mi avete voluto.
So anche, però, e ci credo fermamente, che con la morte non tutto se ne va. Ci ho sempre creduto, anche e soprattutto nei momenti difficili, anche quel giorno orribile in cui Carlo mi disse dell’incidente di Aldo e Paolo, quel giorno in cui urlai la mia disperazione, i miei no, non ci credo, contro le pareti della mia casa, contro il petto di Carlo, contro Dio, contro il mondo… Non ho smesso di crederci in tutti gli anni passati da allora, vissuti con la sensazione assurda che un viaggio di quattro ore mi avrebbe permesso di riabbracciarli, o che un giorno o l’altro si sarebbero presentati a sorpresa al mio portone, come hanno fatto tante volte, precipitandosi in bagno e fingendo di non vedermi, pronti a regalarmi il mondo ed a farmi ridere come una bambina…
So che da qualche parte, di Paolo e di Aldo qualcosa è rimasto, qualcosa di molto più vivo delle loro foto sulle lapidi, qualcosa di eterno, indistruttibile, grande, infinito. So che da qualche parte loro continuano a vivere, e che un giorno o l’altro li raggiungerò in un mondo che non so immaginare ma che non può non esistere, un mondo in cui Aldo avrà trovato rimedio alle sue insoddisfazioni, e Paolo avrà superato i suoi complessi, e dove sicuramente la loro bella amicizia li avrà aiutati ad accettare la loro nuova condizione.
Quante volte ho trovato consolazione in questo. Quante volte ho scritto per ore, immaginandoli vicini, a tenermi compagnia. Quante volte ho parlato con loro, e sorriso, alla fine, liberata dalle mie angosce… e quante volte ho trattenuto una risata nel pensare che se di Aldo e Paolo è rimasta anche solo una parte della loro allegria, della loro abitudine di prendere per il culo il mondo, chissà il subbuglio che hanno portato tra gli abitanti della loro attuale realtà.
Subito dopo la loro morte pensai che se esiste una vita al di là di questa, e se qualcosa di noi rimane o rinasce dopo la morte, allora sicuramente di loro quel qualcosa ancora vive nel volo di un’aquila, nel galoppo di un cavallo, nello scorrere di un torrente. In qualunque cosa libera. Ci credo con tutta me stessa, ci voglio credere. Forse anche per questo non desidero la morte ma non ne ho neanche paura: so che oltre quella soglia che un giorno passerò in un unico senso di marcia non mi aspetta il buio, e che i vermi faranno scempio solo del mio corpo, non di ciò che mi distingue da ogni altra persona su questa terra. Quello è eterno, indistruttibile, e non morirà.
Stasera mi ha colpita come un macigno la nostalgia di Aldo e Paolo… nostalgia dell’aria strafottente di Aldo, del suo voler essere più grande, più maturo, delle sue frasi a presa di culo, della sua aria da bambino… o forse io lo vedevo ancora e sempre troppo bambino? Nostalgia acuta del suo sorriso, delle sue battute, del mio fratellino adottivo sempre pronto a consolarmi, a capirmi… nostalgia di Paolo, pacioccone e bonario con tutti, pronto a correre ad ogni SOS…………….. dov’era Dio quella sera in cui LUI ha lanciato il suo SOS? Perché di loro mi rimane solo questa maledetta, inguaribile, irriducibile nostalgia del loro caro, prezioso abbraccio? Rivedo Aldo in divisa da parà, e poi con una torta spiaccicata in faccia da Paolo il giorno del mio matrimonio, e Paolo con le scarpe in mano quel giorno a Firenze, e risento le loro voci allegre, ricordo i loro dispetti, le loro bambinate, piccoli episodi che ho vissuto con loro senza immaginare quanto sarebbero diventati preziosi nel ricordo, e mi dico che sono stata fortunata… perché ho avuto due amici che mi hanno voluto seriamente bene, che non mi hanno mai tradita, due meravigliosi fratelli che mi hanno dato un mondo d’amore, che mi hanno considerata e trattata come la principessa di una favola, che mi hanno aiutata nei momenti brutti come nessuno al mondo aveva mai saputo fare, ed io… devo solo essere felice di aver avuto tutto questo. Da qualche parte, loro sono insieme e mi aspettano. Per continuare da dov’eravamo rimasti. Un giorno o l’altro aprirò una porta ed al di là della soglia Paolo mi chiederà se voglio un Formitrol, Aldo scuoterà la testa e dirà "qui è tutto negativo", e ci riabbracceremo, semplicemente, felici di rivederci.
Dev’essere per forza così, non accetto altre versioni.
E comunque non se ne può più di tutta questa pioggia.......
Sono certa che verrà il giorno del ritrovarsi... e sarà dolcissimo.
RispondiEliminaVorrei tanto crederci ancora Licia... ne trarrei sollievo. Ma per la strada sto perdendo davvero tante cose in cui credevo... ora mi sento solo molto confusa e triste, e sto cercando di ritrovare un po' di quelle certezze che racconto qui.
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