mercoledì 18 novembre 2009

Ti troverò, per ringraziarti

Quasi invisibile nell’oscurità, l’uomo entrò nella stanza con passi felpati. Si avvicinò nel silenzio più assoluto al letto matrimoniale e vi fissò lo sguardo respirando in fretta. Antonio e sua moglie erano immersi nel sonno, vicini, inconsapevoli di quella presenza. L’uomo rimase immobile ai piedi del letto, poi fece qualche passo verso Antonio, si chinò su di lui e gli sussurrò all’orecchio: "sto ancora aspettando che tu mi ringrazi".
Antonio si svegliò di soprassalto, il respiro affannato, la bocca asciutta, il cuore che batteva con violenza. La sveglia segnava le tre, e nel buio le ombre assumevano forme minacciose. Aveva sognato. Lo stesso sogno di sempre, quel sogno dal significato tanto chiaro, quel sogno che da mesi gli avvelenava le notti. Si mise seduto, il viso tra le mani, sconvolto dalla sensazione di gelo, di solitudine, di impotenza che ogni volta il sogno gli lasciava. Era stanco, stanco di non dormire, stanco di non saper affrontare il suo problema, stanco di sentirsi stanco. Si alzò, andò in cucina senza accendere la luce, si sedette al tavolo e fece un respiro profondo. Guardò davanti a sè la sedia vuota , ripensò all’uomo chino sul suo viso ed annuì più volte. "Va bene", sussurrò al buio ed al sentore di quel sogno, "va bene, ti troverò, lo giuro, ti troverò, per ringraziarti". Poi tornò a letto, sfiorò con le dita i capelli della moglie e passò il resto della notte sveglio, a chiedersi in quale modo avrebbe mai potuto rispettare il suo giuramento. Verso l’alba si addormentò, sfinito ma sollevato per la decisione presa.
Nessuno lo avrebbe aiutato, lo sapeva. Non poteva chiedere, non sarebbe servito supplicare, doveva fare tutto da solo. Quel mattino si vestì con cura e salutò la moglie con un bacio come faceva ogni giorno prima di uscire per la sua passeggiata: "Oggi starò fuori un po’ più a lungo, devo fare una cosa importante, poi ti racconterò". Lei non chiese nulla, paziente e comprensiva come sempre, come poche donne sanno essere, fiduciosa in quell’uomo leale e fedele come pochi uomini sanno essere. Si volevano bene da quasi quarant’anni, e non avevano bisogno di molte parole per capirsi. Lei conosceva il suo tormento, e vide nel suo sguardo una determinazione che poteva avere un solo significato. Gli accarezzò una guancia e sorrise: "Allora ti aspetto per l’ora di pranzo".
Uscendo nell’aria tiepida di settembre, di nuovo si chiese se non fosse tutta una follia. Nessuno lo obbligava a farlo. Paura, aveva paura, paura di fallire, paura di sapere, paura che fosse tutto un errore. Alzò le spalle, basta, ormai hai deciso, vai fino in fondo, non hai più scelta. Salì in macchina, fece scaldare il motore, affrontò le curve aspre che lo avrebbero portato a Perugia ed alla biblioteca. Tranquillo, mormorò a se stesso, ci riuscirai, ci devi riuscire.
Chiese i giornali dei primi di febbraio. Tutti i quotidiani più importanti, con tutta la cronaca locale possibile. Doveva pur partire da qualcosa, da qualche parte. Passò la mattinata a sfogliarli con attenzione, una pagina alla volta senza saltare un solo trafiletto. La bibliotecaria, una ragazza carina e sorridente,  gli aveva suggerito la consultazione informatica ma lui non aveva dimestichezza con i computer, aveva chiesto il vecchio, rassicurante cartaceo. Forse con il computer avrebbe fatto più in fretta ma a lui il tempo non mancava. Poteva perderne quanto ne voleva.
Quella fu la prima di una serie di mattinate in biblioteca. La ragazza lo vedeva arrivare e gli porgeva i giornali, non aveva idea di che cosa cercasse ma gli piaceva il viso aperto dell’uomo, il suo sorriso gentile, la sua cortesia. Provava una sorta di tenerezza nel guardarlo leggere con attenzione ogni rigo, gli occhiali sul naso e l’espressione concentrata, isolato dal mondo intero, immerso nella sua ricerca di chissà cosa di chissà chi…
Antonio ci mise nove giorni. Poi trovò quello che stava cercando.
Il giornale  era del 10 febbraio e riportava le generalità dell’uomo, il luogo in cui era avvenuto l’incidente, un piccolo paese nel comune di Arezzo, e poco di più. Francesco, 6o anni, era caduto da un albero ed aveva riportato una commozione cerebrale seguita da coma irreversibile.  Il cuore di Antonio batteva con violenza, cercò di calmarsi senza riuscirci, si alzò, chiese alla ragazza di dargli quella stessa testata,  11 febbraio.  La ragazza lo osservò cercare in modo frenetico tra le pagine, lo vide impallidire, e si preoccupò nel vederlo con il viso tra le mani, sconvolto, emozionato, affannato.
11 febbraio. E’ morto ieri l’uomo di Arezzo caduto da un albero due giorni fa. I parenti hanno autorizzato il prelievo degli organi, avvenuta a cura dell’équipe del reparto trapianti di Pisa…
Il cuore di Antonio sembrava impazzito, aveva la gola chiusa dall’emozione, le lacrime agli occhi, la voglia di urlare; la mente faceva fatica ad afferrare fino in fondo il significato di ciò che stava leggendo . Ti ho trovato, sussurrò, ti ho trovato. Ti ho trovato.
La seconda ricerca fu più facile, e molto fortunata. L’elenco telefonico di Arezzo riportava una sola voce con quel nome. Antonio fissò sua moglie e le chiese: "Sii sincera, pensi che io sia pazzo?". Lei scosse la testa, sorrise: "Fai quello che devi fare". E lui compose il numero con le dita tremanti.
Due squilli, tre, quattro, risponditipregotipregotiprego, sei, sette, tipregorisponditipregotiprego, nove, mi sa che non c’è nessuno, poi all’improvviso una voce di donna, roca, un po’ brusca, "Pronto?". La moglie, forse, la figlia, chissà… che dico adesso? Antonio aveva immaginato migliaia di volte quel momento, si era preparato decine di belle frasi, ma non ne aveva neanche il minimo ricordo mentre annaspava alla ricerca  delle parole giuste. Così parlò a ruota libera, con la paura che lei buttasse giù la cornetta, senza prendere quasi fiato, senza darle modo di interromperlo. Le raccontò della sua malattia, della sofferenza, dell’attesa, di quella notte tra il 10 e l’11 febbraio in cui un donatore sconosciuto gli aveva regalato un fegato sano e con esso la possibilità della guarigione, del ritorno alla vita. Gli arrivava ogni tanto un sospiro breve, piccoli suoni che sapevano di pianto, allora rallentava, si fermava un attimo, continuando poi a riempire con la sua storia quel silenzio pieno di dolore . Raccontò del suo sogno, della sua sensazione che da quella notte un uomo lo accompagnasse in ogni suo momento, chiedendogli ripetutamente di ringraziarlo per il suo dono, e della sua decisione di pochi giorni prima, di come lo aveva cercato, di come non si fosse stupito che fosse veramente un uomo, del fatto che avesse la sua stessa età. Poi finalmente tacque, il respiro corto, la paura di sentirsi rispondere che aveva fatto male a chiamarla, di aver portato di nuovo dolore e lutto in quella casa, in quella vita. Quando lei parlò, gli fece l’unica domanda che Antonio non aveva previsto di sentirsi fare: "Mi dica, lei sta bene adesso?". Così ebbe la certezza di averlo trovato davvero,  ed anche di aver fatto la cosa giusta, perché lui aveva bisogno di ringraziare qualcuno, ma lei aveva bisogno di sapere che quella morte e quella decisione erano serviti a qualcosa, a qualcuno. "Sto bene signora, sì, sto veramente bene, avevo dimenticato cosa significasse stare bene davvero… era suo marito?". "Era mio marito".
Parlarono a lungo. Antonio stringeva la mano di sua moglie ed aveva il viso rigato dalle lacrime. Quando si salutarono lei promise di richiamarlo, quando avesse metabolizzato meglio la cosa, quando si fosse sentita pronta a farlo, la chiamerò, glielo prometto Antonio, la voglio conoscere, ma non ora, è troppo presto, troppo doloroso.


L’ho incontrato per caso, Antonio, un mese circa dopo che mi aveva raccontato di questa sua decisione, di quello che aveva fatto… Ero in sala d’attesa a parlare con una paziente e me lo sono trovato vicino, il sorriso dietro la mascherina che i trapiantati portano nei luoghi affollati, una gioia di vedermi che gli faceva brillare gli occhi. Ci siamo stretti la mano con affetto, lui fa parte del mondo che ho lasciato con dolore, gli ho chiesto come sta, e poi ovviamente gli ho chiesto di quella storia, com’è andata a finire Antonio, ci sei andato poi al cimitero?
Certo che ci sono andato, Anna. E continuo ad andarci, vado sulla sua tomba almeno due volte il mese, come se fosse un mio parente, un amico carissimo, e tutte le volte lo ringrazio, e mi sembra, come dire, che lui sia lì a rispondermi, a farmi l’occhiolino. La moglie mi ha richiamato proprio due giorni fa, dopo più di un mese, non me l’aspettavo più ormai, invece mi ha detto di non aver mai smesso di pensarci, vuole conoscermi, conoscere mia moglie, la mia famiglia, e di nuovo ha voluto sapere se sto bene, io sto benissimo Anna, ancora meglio ora che ho saputo, lo so che per legge il donatore deve rimanere anonimo, ma io stavo impazzendo, dovevo fare qualcosa.
Ci siamo salutati con un abbraccio, la moglie sempre vicina, piccolina e sorridente, semplice e buona come lui, un amore che le illumina gli occhi ogni volta che lo guarda. Ho il cuore stretto mentre lascio la sala d’attesa e rientro nel reparto in cui lavoro adesso, ho sentito tante storie belle negli anni in cui ho lavorato con i trapiantati, ma questa mi ha commosso più di tutte le altre, l’ho raccontata a tante persone, ed ogni volta immagino Antonio che lascia il cimitero col cuore leggero, libero finalmente dal suo tormento, sereno dopo aver ringraziato, di nuovo, quello sconosciuto che morendo gli ha donato una nuova vita.

 

 

Una risposta a Ti troverò, per ringraziarti.

  1. Agnese scrive:
    L’ho riletta e di nuovo mi sono emozionata per questa stroria… Io non credo nell’aldilà, non credo in Dio, però credo nell’amore tra gli uomini qui sulla terra e questo è un chiaro segno di amore, altruismo, generosità e gratitudine tra persone sconosciute ma legate tra loro, anche se in modi diversi, dalla cosa più bella: il dono della vita!

sabato 31 ottobre 2009

Venticinque giorni di nostalgia

Alla fine quel giorno è venuto… venticinque giorni fa ho lasciato il mio reparto per iniziare un lavoro completamente diverso in un altro…  Ho pianto più di una volta nel mettere contro il mio armadietto le ultime tacche, ma alla fine ho voluto con tutta me stessa ritrovare la mia serenità, riprendere a dormire, smettere di pensare e pensare e pensare fino a sentirmi sfinita.
Non mi innammorerò mai più di un lavoro, non voglio più farlo… per non soffrire più così tanto. D’ora in poi mi sono prefissata  solo di farlo bene, come sempre, con professionalità e competenza, senza mai arrivare a quella demotivazione ed indifferenza viste in tanti miei colleghi ma senza neanche più perderci il sonno e la tranquillità.
Il cinque di ottobre ho… come dire… tagliato un cordone ombelicale, con dolore ed amarezza, ma convinta di fare la cosa giusta.
Il giorno stesso ho fatto attaccare in bacheca il mio saluto a tutto il personale con cui ho lavorato in questi ultimi otto anni.




Pisa, 5 ottobre 2009 


Ciao a tutti, indistintamente.


Vi scrivo perché non ho avuto la possibilità di salutarvi tutti.

Da oggi non lavoro più qui e desidero che sappiate che  l’esperienza vissuta con voi è stata più che positiva. Non so se sono riuscita a dare sempre il meglio di me… di sicuro ci ho provato, mettendo in questo lavoro tutto  l’impegno di cui sono stata capace, per acquisire la competenza e la professionalità che in un posto come questo sono indispensabili. Spero di essere riuscita a guadagnarmi un po’ di fiducia e di stima, e perché no di simpatia, malgrado i problemi ed i malintesi che nel tempo, inevitabilmente, si sono creati per motivi vari, per la stanchezza ed il nervosismo dovuti al grande carico di lavoro, per parole riportate e mai chiarite, per molti altri motivi che non penso sia il caso di esaminare qui. Se ho ferito qualcuno chiedo scusa, se qualcosa è rimasto in sospeso sono pronta a parlarne ed a chiarire. Di sicuro me ne vado con un po’ di magone, so di lasciare molte belle persone, persone che nel tempo mi hanno dimostrato affetto, simpatia,  fiducia nelle mie capacità. Lascio qui un pezzetto di cuore, lo lascio accanto ai pazienti soprattutto, ai miei colleghi, ai medici con cui ho lavorato gomito a gomito, ma anche a tutte le altre persone con cui non ho lavorato a stretto contatto ma con le quali negli anni ho scambiato confidenze, interessi, consigli, informazioni, favori, e tutto ciò che si vive in una piccola comunità dove ognuno ha un suo ruolo grande o piccolo, ed ognuno contribuisce al buon andamento delle cose. Da oggi non sono più un anello di questa catena ma sono contenta di averne fatto parte, e terrò questa esperienza stretta nel mio cuore sapendo che se non mi servirà altrove dal punto di vista professionale, mi avrà comunque arricchito dal punto di vista umano… come d’altronde tutte le esperienze.

Mi mancherete.
Non vado lontano… solo poche decine di metri, più che superabili per chi vuole tenersi in contatto con me.

 
Vi abbraccio tutti, dai "pilastri" che mi hanno insegnato tutto quello che ho imparato, agli ultimi arrivati che avrei voluto conoscere meglio.


Anna Musolino



Sono passato venticinque giorni da allora, dall’inizio della mia "nuova vita"…  il lavoro che faccio adesso è molto meno affascinante, sicuramente molto più piatto, ma anche molto meno faticoso e stressante, e mi lascia energia da dedicare alla mia famiglia ed a me stessa. Oggi dopo un secolo ho fatto una passeggiata in bicicletta per i campi insieme a Carlo, a fare foto, a chiacchierare tranquilli, a respirare l’odore dell’erba, a godere di quella fatica muscolare che non ha niente a che fare con la stanchezza, ma che è vita, energia, gioia di essere al mondo. La voglia di muovermi, di uscire, fanno parte della ritrovata pace.
Con le mie colleghe più care ed il mio collega  adorato rimarrò in contatto anche senza bisogno di lavorarci… ho lasciato con loro un pezzo di cuore, e loro hanno fatto per me  un gesto che è stato in assoluto il più bello che abbiano mai fatto per me dei colleghi in trent’anni di lavoro. Non lo dimenticherò mai. So che avrebbero voluto che io facessi un’altra scelta. Ma so anche che hanno capito.

Rimarremo vicini… ve lo prometto. Non potrei fare a meno di voi!!!





E se a volte come stasera ho il magone…
E se la visita a sopresa di una paziente trapiantata mi fa venire le lacrime agli occhi…
E se mi sorprende la nostalgia a stringermi forte il cuore e l’anima…
E se passare davanti al mio vecchio reparto mi fa chiudere la gola…



… Passerà.

Semplicemente.

Prima o poi.

lunedì 24 agosto 2009

I miei gnometti... i miei pensieri




Ogni tanto, a sorpresa e senza un vero motivo, i ricordi mi investono e mi commuovono, lasciandomi un po’ di amaro in bocca al pensiero di come sia volato il tempo, di quanto sono cambiata io, di come gli anni hanno fatto scempio della mia fantasia, della mia spensieratezza, dei miei entusiasmi, di me stessa. Ogni età, è ovvio, ha una sua bellezza. Io sono fortunata, sono sana malgrado i miei piccoli acciacchi, mi dicono che non dimostro gli anni che ho, ho una bella famiglia malgrado le preoccupazioni che inevitabilmente mi procura l’avere due figlie di età diverse ma entrambe critiche, non ho veri e propri problemi economici, amo ancora il mio lavoro dopo più di trent’anni che lo esercito, ho veri amici e sono contornata da persone che mi vogliono bene ed a cui ne voglio io… quindi, facendo un bilancio dei miei "quasi" prima cinquant’anni so che è più che positivo. Ma la fantasia che ha accompagnato la mia adolescenza, i sogni che ho coltivato, la mia creatività, ciò che ero e  che ho lasciato per la strada con un pizzico di rimpianto, quello, che io lo voglia ammettere o meno, non fa più parte di me.

Escluso i miei gnometti. 

Chi mi conosce davvero, chi ha vissuto con me quegli anni di burrasca, chi ha avuto la chiave del mio cuore e l’accesso ai miei diari, sa di cosa sto parlando. Solo pochi giorni fa la mia caposala, che è stata mia compagna di classe durante il corso infermieri oltre che una carissima amica per anni, mi ha chiesto sottovoce: ma i tuoi gnometti come stanno? E ci siamo scambiate un sorriso complice che mi ha riportata per un momento brevissimo alla mia adolescenza.
Uno dei nanini di Margherita ©


Quando ero una ragazzina, chiusa e timida come tante ragazzine a quattordici o quindici anni,  avevo un'amica, una meravigliosa amica che aveva un’idea fantasiosa e tenera dei suoi pensieri: li vedeva come minuscoli nanini, tutti neri con un cappello da prete in testa, scorbutici ed antipatici, che correvano in giro per il suo cervello... Ho rubato e fatto mia quella sua idea, pensando invece ai miei pensieri come minuscoli gnometti  con i quali litigavo continuamente. Riguardando qualche vecchia pagina di quaderno dei primi anni di scuola superiore o i margini degli appunti della scuola per infermieri, mi ritrovo a commuovermi per la fantasia che dimostravo, per la tenerezza di certi discorsi solo apparentemente senza né capo né coda, per il grido di aiuto che oggi intravedo in quella mia piccola mania che le mie compagne di classe trovavano probabilmente solo l’ennesima stravaganza di una ragazzina un po’ stramba che tendeva ad isolarsi da tutti, che non amava le cose che amavano loro (la discoteca, i flirt coi coetanei, la moda), che non si metteva in mostra, che non si truccava né metteva in evidenza quel suo corpo che trovava orribile. Negli anni successivi, verso i diciotto-vent’anni, qualcosa in me si è ribellato a quell’immagine goffa che avevo di me stessa, ho trovato da qualche parte ironia, intraprendenza, malizia, voglia di sorridere, di amare, di vivere, e sono iniziati gli anni burrascosi della mia tarda adolescenza, quelli in cui la mia metamorfosi lasciava a bocca aperta i ragazzi, in cui ero solo vagamente conscia di un fascino tutto mio che non sapevo amministrare ma che usavo per istinto in modo spensierato senza accorgermi del fatto che così facendo mi procuravo  guai e dolore. Di quegli anni ho il ricordo di un fiore sbocciato troppo all’improvviso, di un vulcano in eruzione,  di una ragazza irrequieta, allegra, desiderosa di vivere tutto ciò che si era negata prima, di evadere dagli anni bui che avevano preceduto quel periodo, da quel brutto grasso anatroccolo che ero stata, da un padre troppo severo il cui amore ho capito troppo tardi,  da una vita di cui allora non apprezzavo niente e che oggi vorrei poter rivivere per berne a grandi sorsi la gioia che non sapevo di provare. Forse succede a tutti gli adolescenti?… (oggi che ho due figlie dell’età che ho vissuto peggio, e che vorrei essere capace di  trarre dai miei errori l’insegnamento giusto per trasmetterglielo…  per qualche maledetto motivo che non so non ne sono capace, e pur capendo la loro confusione, le loro difficoltà, le loro irrequietezze ed il loro disagio non sono in grado di aiutarle, o perlomeno non mi sembra di riuscirci).
Anna il vulcano, dicevo. Con uno spirito indipendente, ribelle, indomabile; un’esplosione continua di voglia di fare, di essere, di imparare, di costruire… Sparita la goffaggine, l’insicurezza, la timidezza… ma gli gnometti erano lì con me, implacabili e testardi, irriducibili ed indistruttibili. Mi hanno seguita per anni, per tantissimi anni, anche quando sono diventata mamma una prima e poi una seconda volta,  continuavo  a scriverne (come se fosse del tutto normale), a discutere con loro, ad immaginarli nella mia testa che marciavano con cartelli di protesta e gridavano slogan anti-Anna, mentre io urlavo di tacere  e tiravo loro le molotov. Sorrido mentre scrivo, giuro che è tutto vero, ho intere pagine di diario in cui parlo di loro, in cui li imbavaglio o li tramortisco, in cui ci battibecco e raramente ammetto le loro ragioni, in cui altrettanto raramente scrivo "Oggi i miei gnometti stanno zitti" oppure "Oggi io ed i miei gnometti andiamo d’accordo", ma molto più spesso scrivo "Oggi i miei gnometti sono polemici", poi l’immagine di un ometto stilizzato col cappello a punta dice in un fumetto "Ma per forza, tu …" ed io "Zitti voi, qui comando io!".


  
  


Un mio caro amico qualche anno fa, per un Natale che non ricordo ma che sicuramente mi trovava ultraquarantenne, mi ha regalato un colorato e simpatico porta-appunti dove una serie di buffi gnometti dal cappello a punta sono seduti in  fila… "mi hanno fatto pensare ai tuoi" mi disse offrendomeli, e da allora fanno bella mostra di sè sul mio tavolino personale in camera, il tavolino che sostituisce la stanza tutta per me che non ho mai avuto  (ho sempre desiderato un posto tutto mio dove ordine e disordine fossero solo miei ma non l’ho mai avuto). Ci attacco ogni tanto una foto, un pensiero, un bigliettino fantasioso, e guardo quegli gnometti che non somigliano molto ai miei ma che grazie al mio amico me li ricordano comunque… e mi ricordano che chi mi conosce davvero sa che esistono, che sono sempre lì, parte integrante di me, oggi un po’ invecchiati, meno agguerriti, un po’ più sereni ma sempre antipatici e scorbutici, pronti a brontolarmi, a protestare, a battere i piedi per terra o a sbuffare, e che solo quando me ne andrò da questo mondo terreno se ne andranno anche loro… forse… o forse, per la mia convinzione già condivisa su questo blog che qualcosa di noi rimane anche dopo la morte, resteranno qui, eredità scomoda per qualcuno che spero li tratterà meglio di me!

mercoledì 24 giugno 2009

Devo riposarmi dalla vita

Tra poco partenza per Carcassonne, prima tappa  del nostro viaggetto verso la Spagna Atlantica. Non ho dormito, per stress e troppa stanchezza, e sono in piedi da un pezzo. Vorrei essere più serena ma non mi è possibile, spero solo che questo stop dalla vita possa in qualche modo restituirmi un po’ di  me stessa…
Non voglio pensare a niente per questi diciotto giorni, niente se non come impostare la mia macchina fotografica e quali luoghi scoprire giorno per giorno.
Stasera dovrei trovarmi davanti questo spettacolo:   
 

Ciao Pisa, ciao problemi, ciao per un po’…

lunedì 1 giugno 2009

Maggio se ne va e niente è cambiato... almeno, non in meglio



Oggi, ultimo giorno di maggio… ma come, non è iniziato ieri? Il tempo malgrado tutto scorre, peccato che dal mio ultimo intervento niente è cambiato, o piuttosto, niente è cambiato in meglio, perché al peggio invece non c’è mai fine…

 



Lascerò questo lavoro che tanto amo.

Lascerò questi pazienti che tanto contano su di me, che sorridono quando mi vedono, che mi dicono che sono il loro angelo custode.

Lascerò la mia competenza, che non mi servirà a niente altrove, perché quello che faccio nel mio reparto viene fatto solo lì. Come a dire che butto via otto anni di apprendimento continuo, di professionalità, di un miglioramento che ho voluto giorno per giorno, momento per momento.

Lascerò il mio cuore tra quelle mura, vicino ai miei colleghi, o meglio ad alcuni di loro, e mi costringerò a non ascoltarlo quando piangerà come un bambino.

Per una volta nella vita devo ascoltare la ragione, non il cuore.

Conto i giorni… come i carcerati, metto una barretta contro lo sportello del mio armadietto tutti i giorni… ogni cinque, barretta obliqua… e quando arriverò al 15 settembre lascerò il mio reparto per iniziare da zero in un altro. Quale? Non so, non è importante. Se innamorarsi di un lavoro deve portare a tanta sofferenza, allora meglio che non succeda.


Il cielo piange stamattina, il mio animo lo stesso. Ma non ho scelta, o meglio non ho il carattere adatto a sopportare un’altra scelta. Questa mi fa soffrire ma rimanere mi farebbe soffrire di più, quindi scegliamo il male minore e chissà, magari si rivela una scelta vincente.

 

Oggi è domenica, ma tra poco vado al lavoro lo stesso… stanca e stressata, ma certamente non ne ha colpa chi soffre, ed ha bisogno di me.






2 risposte a Maggio se ne va e niente è cambiato… almeno, non in meglio

  1. paola scrive:
    Ti voglio bene Anna…. perche’ tu sei cosi’..unica,eccezionale,rassicurante…………………
  2. patrizia scrive:
    leggo che qualcosa non và! il tuo lavoro anna, cambierà? allora non siete riusciti ad averla vinta? mi spiace!ti abbraccio sono sicura che saprai fare del tuo meglio!

martedì 28 aprile 2009

Destino?

E’ una poesia che per molti anni, dall’adolescenza fino a dopo essere diventata mamma, ho continuato a trascrivere sulla prima pagina dei miei diari o delle mie agende… mi ci rispecchiavo, avrei voluto essere così brava da aver trovato io quelle parole, invece le ha scritte Vincenzo Cardarelli ma le ho fatte mie per sempre. Stasera parlando con Paola le ho detto che sono stata fortunata ad aver incontrato Carlo, il mio porto tranquillo… e mi è tornata in menta quella poesia che ha fatto parte della mia vita per tanto tempo. Così, prima di andare a letto la trascrivo qui… chiedendomi perché continuo a pensare che il mio destino sia vivere balenando in burrasca.

Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
                                                    

 

Una risposta a Destino?

  1. paola scrive:

venerdì 10 aprile 2009

Davide contro Golia...

… Dopo cinque giorni di lavoro durissimo, in un’atmosfera che si taglia a fette, in attesa di domani ultimo giorno  di questa settimana di merda che cosa poteva mai capitare? Ovvio… qualche ora di lavoro anche stasera, per un’urgenza.
Prima reazione: ma porca miseria, proprio stasera che avevo finalmente a disposizione qualche ora di santa pace???
Poi ovviamente mi sono vergognata di me stessa e dei miei pensieri.
Non so chi sia, se uomo o donna, se giovane o meno giovane… so però per certo che è in pericolo di vita, che ha bisogno di me, della mia esperienza, della mia competenza per affrontare nelle condizioni migliori un trapianto di organo che forse salverà la sua vita. So che di fronte a questa persona indifesa la cui vita è appesa ad un filo dimenticherò la mia stanchezza ed il mio nervosismo, il mio rancore verso chi sta distruggendo la mia serenità, so che dimenticherò il mio desiderio di riposo e mi darò da fare senza risparmiarmi, in barba a chi considera gli infermieri una pidocchiosa miserabile massa di operai che aspirano solo a timbrare il cartellino ed andarsene a casa in attesa del 27.
Sono amareggiata, delusa, schifata. Ma so di essere una brava infermiera, e di avere molta più classe e coscienza di chi in questo momento sta usando tutto il suo potere per schiacciare me ed i miei colleghi. Sono felice di essere una miserabile operaia, se questo significa avere ancora un cuore, una testa che ragiona, la capacità di non farmi accecare dal potere e dalla rabbia di essere stato sfidato.
Già una volta  un piccolo Davide ha battuto un enorme Golia.  La storia a volte si ripete… chissà.

2 risposte a Davide contro Golia…

  1. paola scrive:
  2. patrizia scrive:

sabato 28 marzo 2009

 Addio Alessandro 
                              
La vita è un prestito… a te è stato chiesto troppo in anticipo di restituirlo.

domenica 22 marzo 2009

Tristezza

Ieri sera dal lucernario della mia camera, al buio e sdraiata sul letto, ho notato che ormai Orione è scomparso dal mio piccolo angolo di cielo, mentre la costellazione dell’Orsa  Maggiore col suo Grande Carro, maestoso e solitario in questo cielo troppo contaminato dalle luci umane, mi tiene compagnia verso la mezzanotte. Dopo due giorni troppo difficili, è stato forse il primo momento di pace autentica.
Oggi, secondo giorno di primavera. Mi sono svegliata prestissimo, mi sono fatta  il solito bidone di caffè lungo, l’ho sorseggiato seduta sugli scalini del mio terrazzo , respirando l’aria  fredda e guardando il cielo terso, i primi fiori del mio giardino, la mia gattina che mi osservava curiosa, la luce chiara delle prime ore del mattino,  alla ricerca di qualcosa di bello che mi facesse affrontare questa giornata con meno tristezza delle ultime due.
Sto passando un brutto momento e prima che con chiunque altro devo parlarne con me stessa, sviscerarlo, analizzarlo, ridimensionarlo, ucciderlo.
Brutto prima di ogni altra cosa perché in questo periodo, o meglio da molto tempo, non riesco a comunicare con la mia figlia maggiore. Abbiamo passato molti brutti momenti in questi ultimi quattro o cinque anni, momenti in cui abbiamo litigato, in cui non ci siamo parlate, in cui mi sono disperata ed ho pianto ed ho fatto di tutto per scuoterla, per aiutarla a venir fuori dalle sue ossessioni, per guidarla sulla strada giusta, senza mai raggiungere il mio scopo se non quando qualcun altro ha deciso per lei… ci sono stati giorni, settimane intere in cui non ci siamo quasi rivolte parola, in cui ho voluto aspettare che fosse lei a fare il primo passo visto che per tutta la vita sono stata io a farlo, ma ho sofferto come un cane in quell’attesa infinita. Ci sono stati tanti giorni "no" nella nostra vita di mamma e figlia… ma sento questo come il peggiore, quello in cui la mia impotenza è totale, in cui non sono capace neanche di offrirle una spalla su cui piangere, semplicemente perché lei né ammette di averne bisogno, né tantomeno la accetterebbe. Ieri sera è uscita finalmente con un gruppetto di persone, carina e disinvolta come poche altre volte, salutandomi a malapena con un veloce ciao, niente baci, niente mamma come sto, niente di tutto ciò che vorrei. Me la sono cercata? In parte forse sì. So bene che si sente offesa per quello che le ho detto pochi giorni fa, e sicuramente sono stata più dura di quel che volevo visto che ero furiosa per il suo comportamento, ma più che per rabbia ho agito per il bisogno ed il desiderio di scuoterla, di metterla di fronte alla sua realtà di ventenne che sta vivendo la sua età attaccata a sogni assurdi anziché cercare di costruirsi intorno un mondo reale, concreto, fatto di amicizie conquistate e non create in chat, fatto di piccoli mattoni messi su uno alla volta, uno accanto all’altro a costruire un muro solido e non un castello di carte fatto di fantasie romantiche che non hanno niente a che vedere con la realtà… Lei non sa quanto la capisco e quanto ho paura per lei, per la sua fragilità, per la sua incredibile predisposizione ad attaccarsi alle persone sbagliate ed alla sua incapacità di staccarsene anche quando la deludono… continuo ad aspettare che apra gli occhi, che cresca seriamente e non solo anagraficamente, che accetti il fatto che isolarsi volontariamente  dal mondo per quattro anni è stato un errore gravissimo, che sta pagando in prima persona, ma che è ancora in tempo a rimediare… se lo vuole.
Poi c’è il turbamento della mia figlia più piccola. Si è comportata da persona matura affrontando una situazione molto delicata, per rimanere poi terribilmente delusa proprio dalla persona adulta a cui si era rivolta e dalla quale si aspettava aiuto. Ho passato il pomeriggio di ieri a rassicurarla sul fatto che lei non ha sbagliato come crede, che non ci saranno conseguenze e che tutto svanirà in una bolla di sapone, ed abbiamo guardato insieme un film che a lei piace molto, per starle vicino, per distrarci entrambe,  ma ho covato per tutto il pomeriggio rabbia e delusione nei confronti di quel mondo minaccioso, ricattatorio, aggressivo, despota che le sembra in questo momento il mondo degli adulti… e come darle torto?
E infine il lavoro… questo lavoro che amo in modo viscerale, questo lavoro che assorbe tanta parte della mia energia e della mia vita, questo lavoro che preso come professione in se stessa è bellissimo, ma preso come carico psicologico della sofferenza altrui è un disastro. Sono ormai trent’anni che mi sono diplomata, e trentatré che assisto i malati, ma in tutti questi anni non sono mai riuscita ad isolarmi dal loro dolore, dalle loro storie personali, non sono mai riuscita come si dice a farmi crescere un po’ di pelo sullo stomaco. Venerdì sono stata male tutto il pomeriggio per aver assistito alla sofferenza di un ragazzino che ha più o meno l’età delle mie figlie e la cui vita è appesa ad un filo, per aver sentito le sue disperate richieste di aiuto alla sua impotente ed angosciata mamma, per averlo sentito chiedere di morire pur di non soffrire più così. Mi sento straziata per lui, per sua madre, vorrei essere meno impotente, vorrei poter afferrare quel dolore, strapparlo in mille pezzi e disperderlo nel vento e non sono capace invece che di dire poche frasi banali di incoraggiamento che non servono a niente se non a farmi sentire stupida ed inutile. Mi sforzo di essere professionale, monto la macchina che lo aiuta a stare in vita con precisione maniacale, seguo tutta la procedura senza staccare gli occhi dal monitor, dal display della macchina, dai tubi in cui scorre il sangue,  e mi sento col cuore a pezzi e l’anima sanguinante.
Dov’è quel dio giusto nel quale tanto credevo mille anni fa? Quale peccato doveva scontare quel ragazzo quando è iniziato il suo cammino sulla strada della sofferenza? Vorrei una risposta e non l’avrò, vorrei un miracolo e non credo ci sarà… se sapessi pregare ora lo farei, lo farei per quel ragazzo e per sua madre, lo farei se solo pensassi che serve a qualcosa, lo farei se credessi che oltre quelle magnifiche stelle che in questo momento riempiono il cielo al di là del mio lucernario esiste qualcuno, qualcosa che ha una qualche influenza sulla vita umana. Solo che non ci credo più, e di conseguenza non so più pregare, né chiedere. Posso solo sperare nella capacità umana, in quella di un bravo medico, di un ottimo chirurgo, e nella forza di un ragazzino che sta chiedendo aiuto. E posso chiedere a me stessa di non sentirmi triste per le mie figliole, loro stanno bene, stanno solo vivendo un processo di crescita, ma sono sane e fortunate, ed io non ho il diritto di dire che mi sento triste per loro.
So che tutto si risolverà. Altre madri non possono dirlo.


2 risposte a Tristezza

  1. paola scrive:
    Anna….alle 9.30 del mattino,sono qui a leggere questa pagina.Sei una donna e d una madre stupenda.molte delle cose che hai scritto sai che le condivido pienamente..difficile fare la madre,difficile essere una figlia.adesso noi stiamo vivendo forse tutte e due le cose.anche noi eravamo un po\’ cosi\’.Sai benissimo anche tu i problemi che io ho con Désirée………..
  2. Agnese scrive:
    Arieccomi qui a piangere come una bimbetta! Soffro per quel ragazzino che non conosco e per sua madre… Non è possibile che succedano queste cose! Dio non esiste perchè se ci fosse un dio non permetterebbe tutto ciò! Io ne sono certa!Anche io amo il mio lavoro ma negli anni non ho saputo metabolizzare tutte le storie difficili che ho incontrato e adesso, dopo 20 anni, anche una piccola cosa mi manda nel panico totale perchè non riesco ad accettare la sofferenza altrui!Che situazione!Per quanto riguarda la prima parte del tuo diario… beh lo sai che ti capisco benissimo e che ti sono vicina col pensiero e col cuore… E\’ vero, siamo fortunate perchè le nostre figlie stanno bene ma ciò non ci esonera da essere preoccupate per loro, da soffrire degli erroi che fanno e da essere in apprensione per il mondo che c\’è fuori… spesso un bruttissimo mondo…Cosa augurarci? Che trovino presto la loro strada e che sia giusta e le renda almeno serene (che sarebbe già molto!)…

venerdì 20 febbraio 2009

Vita da volontari

Il tempo vola e mi ritrovo a guardare il calendario pensando con sorpresa: porca miseria sta finendo febbraio, e di tutte le cose che volevo fare questo mese che cos’ho fatto? Ma soprattutto stamattina ho pensato: mamma mia tra nove giorni c’è la pentolaccia!!! 


La Pentolaccia è la nostra festa di carnevale dedicata ai piccoli celiaci della Toscana, e che per noi del gruppo di Pisa dell’Associazione Italiana Celiachia significa un lavoro gigante di organizzazione, reperimento premi per la lotteria, invenzione di giochi per i bambini, lavoro, lavoro, ore di lavoro duro per preparare e cuocere 1200-1300 bomboloni senza glutine… Ieri sera ci siamo riuniti, qualche veterano e qualche nuova leva di un gruppo fantastico che si è riunito nel 2000 e di cui sono stata l’orgogliosa coordinatrice provinciale dal 2001 al 2006, e tra un dolcetto ed un bicchiere di coca-cola, una battuta ed una risata, penne e fogli e volontà, abbiamo buttato giù programmi ed idee, liste della spesa e delle cose, delle mille cose da fare. Abbiamo fatto mezzanotte passata come sempre, rubando sonno e tempo a noi stessi per altri che forse non si rendono conto di quanto duro sia il lavoro del volontario, e da oggi inizia il panico… intanto, quali dolci porto per il mercatino degli assaggi? Devono essere rigorosamente senza glutine e questo è ovvio, ma devono essere anche originali, belli, invitanti, magari semplici da fare…. inizia la ricerca tra libri di ricette e fantasia, e questa settimana in famiglia qualche volontario dovrà rinunciare alla dieta dimagrante per farmi da cavia!

Da oggi però inizia anche l’entusiasmo di ogni anno, di quando sai che centinaia di persone verranno per mangiare i nostri bomboloni ed i nostri dolci, e porteranno i loro bimbi sapendo che passeranno un pomeriggio divertente durante il quale per una volta non si sentiranno disagiati ma privilegiati, senza immaginare le ore in piedi che avremo passato in cucina a pesare, impastare, prendere al volo il punto giusto di lievitazione, friggere, rotolare nello zucchero e… veder mangiare di gusto, e sentire la stanchezza sparire di fronte al sorriso timido o estasiato di un bambino, alle bocche sporche di zucchero, alle vocine che chiedono ne posso avere un altro, e la domanda che sempre qualcuno pone con gli occhi sgranati: ma davvero posso mangiarli?


Dura la vita del volontario… dura perché toglie tempo alla tua famiglia, ai tuoi amici ed a te stessa, ti fa passare fuori serate fredde o di pioggia in cui staresti volentieri al calduccio davanti alla tv, e ti spinge a rompere le scatole a familiari e conoscenti e colleghi di lavoro affinché ti comprino un biglietto della lotteria o vengano a darti una mano durante le manifestazioni, e ti costringe a stare in piedi al freddo durante i mercatini di Natale per informare la gente, e potrei riempire pagine e pagine raccontando quanto lavoro comporti decidere di essere membro attivo di  una ONLUS… ma la soddisfazione di vedere un bambino felice, anche uno solo, per ciò che gli hai donato, ha il potere di far scomparire ogni stanchezza e di far apparire bellissimo ogni sacrificio fatto. Quando i bambini poi, come succede in occasione della Pentolaccia, sono centinaia… allora ti senti al centro del mondo.

sabato 14 febbraio 2009

Il mio Egitto... l'emozione di un sogno vissuto.

Desideravo da una vita intera visitare l’Egitto. Ho letto interi libri su questo antico popolo, sulla sua storia, sull’interpretazione dei geroglifici, sui monumenti ancora esistenti, sulle teorie riguardo le piramidi, sulle scoperte delle tombe, sulla valle del Nilo e chi più ne ha più ne metta. Così ho fatto come le formichine, risparmiando briciola su briciola per potermi concedere il viaggio di nozze che non ho fatto venticinque anni fa. Ho tanto desiderato vedere l’Egitto quanto temuto di morire prima di riuscirci, ed aspettavo questo viaggio con il timore che qualcosa dovesse per forza andare storto, come sempre quando hai investito troppe speranze, troppe aspettative su un progetto. Poi quel giorno è venuto. Dopo mille peripezie, agenzie su agenzie consultate, con una corsa finale per Erika che si è aggregata all’ultimo a nostra immensa gioia (ma che patema d’animo), e con un ritardo della partenza dell’aereo che mi ha fatto temere il peggio, finalmente oggi posso dire di aver visto un po’, solo un po’ dell’Egitto. Raccontare tutto quello che ho visto sarebbe forse noioso… per quello ci sono le foto, le quasi tremila foto fatte tra me, Erika, Silvia ed i miei amici Assunta e Lorenzo in viaggio con noi… eh sì, un po’ affollato come viaggio di nozze, ma erano nozze d’argento, e dopo venticinque anni insieme è il minimo avere due figlie meravigliose e due amici su cui contare, allora perché non coinvolgerli?
Raccontare le cose viste, dicevo, sarebbe scontato… per quello ci sono guide e foto. Quello che veramente mi rimarrà impresso di questo viaggio è l’emozione che ha accompagnato ogni giorno, ogni momento di quelle due settimane sul suolo egiziano, e se le foto rimarranno per sempre a ricordarmi ciò che ho visto, sono proprio quelle emozioni che temo di dimenticare, e che voglio fissare qui.
Emozione. Mi ha soffocato la gola già scendere dalla scaletta e toccare il suolo del Cairo. Sono in Egitto mi dicevo, credo anzi di averlo detto ad alta voce, ed avevo il cuore che scoppiava di gioia.
Emozione. Malgrado la stanchezza per una notte quasi insonne ho bevuto con gli occhi ogni immagine al di là del finestrino del pullman, e vedere all’improvviso, nella foschia dell’alba, la sagoma imponente ed irreale delle piramidi mi ha fatto venire le lacrime agli occhi: cinquemila anni e sono sempre lì… ma allora esistono davvero!
Emozione. Gli incredibili reperti presenti nel museo egizio sono qualcosa di indescrivibile, e la passione della nostra guida Hossam nel  presentarci i ritrovamenti più significativi ha reso magica quella visita.
Ma la vera emozione, che mi aspettavo ma che mi ha comunque spezzato il fiato e riempito gli occhi di lacrime, è stata quella che mi ha inondato il cuore e l’anima di fronte al viso di Tut-Ankh-Amon… guardavo quei lineamenti sereni e sussurravo dentro di me: ma sei davvero tu? ed io sono davvero qui davanti a te? 

 La maschera d'oro di Tut-Ankh-Amon

Quanti libri ho letto sul ritrovamento di quella tomba, quante foto ho guardato di quella maschera in oro, ma niente mi aveva veramente preparato alla bellezza di quel viso troppo giovane immortalato migliaia di anni fa. Hossam mi guardava sorridendo, credo in effetti fosse uno spettacolo divertente quello di una signora distrutta dalla mancanza di sonno in adorazione di fronte ad una teca, incantata, forse a bocca aperta, di sicuro con gli occhi rossi e lucidi.
Emozione. Guardare  le piramidi di Giza sempre più vicine, imponenti al di là degli edifici  del Cairo, fino a vederne ogni singola pietra, è stata un’altra emozione indimenticabile. Molte persone mi avevano detto: rimarrai delusa, sono troppo adiacenti alla città, e poi la folla ti toglie tutta la magia… Mah, evidentemente io so vedere aldilà della folla, della città, del brusio dei  turisti… io mi sono sentita immersa nella storia di un popolo magnifico, non ho visto né la città né la gente, ho visto solo qualcosa di incredibile che ha resistito ai millenni e che ancora ha né forse mai avrà una spiegazione, a partire da come hanno fatto a quel tempo ad erigere monumenti così imponenti, a mettere l’uno sull’altro quei massi enormi, o sul perché le piramidi sono tutte orientate in un certo modo, allineate in modo esatto con le tre stelle della cintura della costellazione di Orione. E se da una parte, è vero, vedi sullo sfondo la città, dall’altra il deserto si estende a vista d’occhio, con i suoi colori caldi ed il suo mistero.
  
  
Le piramidi di Giza ed il deserto 

                                                                                                                          

E che dire della sfinge? Immensa, solenne, così bella che nessuna parola, nessuna foto può renderle giustizia. Ma non sapevo che questa considerazione avrei poi dovuto farla per molti altri monumenti egiziani.
Del Cairo ricorderò le migliaia di taxi sgangherati, le strade ingombre di mezzi di tutti i tipi, dagli autobus di gran lusso ai carretti trainati dagli asinelli, le sagome inconfondibili delle moschee e dei loro minareti, la folla di gente nei mercati, le donne vestite all’occidentale ma con la testa coperta, gli edifici spesso fatiscenti ma dal tetto tappezzato di antenne paraboliche e dalle facciate ricoperte di motori per l’aria condizionata, i mille colori di una città immensa, caotica, incredibilmente viva fin dalle prime ore del mattino, che vorrei aver avuto la possibilità di conoscere un po’ meglio che dal finestrino di un pullman.
Chissà… forse in un’altra vita.
E poi c’è stata la piramide a gradoni di Saqqara… l’avevo vista in foto, solitaria millenaria, sorella umile delle grandiosi piramidi di Giza. Inaspettatamente, mi sono innammorata all’istante di quel sito archeologico pieno di polvere del deserto, dove gli scavi sono aperti da decenni, e dove il grande Imhotep progettò questa insolita tomba che ricorda un po’ le costruzioni azteche… Rispetto alle piramidi di Giza, che tra l’altro si intravvedono all’orizzonte, questa è meno imponente, meno famosa, ma le ho trovato un fascino difficile da descrivere a parole, il fascino delle cose un po’ offuscate dal tempo, un po’ demodé, ma piene di ricordi e tesori da scoprire.


 

Pensavo che la piramide di Saqqara mi avesse dato un’emozione unica, che rappresentasse un po’ dell’Egitto meno turistico, meno a portata di mano ma anche più genuino… Poi, il 4 settembre 2008, il giorno in cui festeggiavo il mio venticinquesimo anniversario di matrimonio, abbiamo fatto un lungo giro nel deserto alla scoperta di altre piramidi di cui non avevo mai sentito parlare. Se Giza mi aveva emozionato, se Saqqara mi aveva fatto fare un viaggio nei secoli, le piramidi di Meydum, di Dashur e la piramide romboidale mi hanno fatto respirare a pieni polmoni il profumo della storia, del mistero, dei segreti di questo incredibile popolo. E’ stato come mettere piede su un altro pianeta, conoscere un mondo mai neanche immaginato, senza bisogno che qualcuno me ne raccontasse la storia perché il vento del deserto e quelle meravigliose costruzioni sembravano parlarmi… Dio che magnifica sensazione, quel silenzio interrotto solo dal vento, quella solitudine così preziosa, quelle costruzioni che sembrano così irreali in pieno deserto… dovessi dire qual’è stato il giorno più bello, più magico di questo viaggio, e quale il posto che rivedrei, non avrei esitazioni… è stato quel giorno, nel deserto, alla scoperta delle piramidi nascoste.

La piramide rossa di Dashur

    
La piramide romboidale vista dalla piramide rossa  ..e la piramide rossa vista da quella romboidale
                                                     
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Particolarissima, praticamente intatta, la piramide romboidale
                                                             

    
Altre piramidi nel deserto. Quasi distrutte, ma sempre affascinanti
                                                            
                                                                                                    
     

La piramide di Meydum
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                
Quella sera mi sentivo inebriata da immagini stampate per sempre nella mia mente, dalla sabbia del deserto respirata per gran parte del giorno e che mi sono portata a casa in una bottiglietta, dal vento incessante che mi aveva riempito i capelli ed i vestiti di polvere dorata, dal sole africano che non dimenticherò mai, ma soprattutto da quel susseguirsi di piramidi e tombe di cui non conoscevo l’esistenza e che avevo scoperto e visitato con lo stupore e l’entusiasmo di un bambino. Mi sentivo ricca e felice come chi ha appena ricevuto un regalo inatteso e prezioso, e non dimenticherò mai neanche la sorpresa di una torta a forma di cuore che le mie figlie ed i miei amici hanno fatto arrivare al nostro tavolo per festeggiare il nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio… e questo ha reso quella giornata semplicemente perfetta.
Il giorno dopo abbiamo preso l’aereo per atterrare sotto il tropico del cancro e visitare il tempio di Abu Simbel… e dopo le piramidi nel deserto, quello è stato in assoluto il sito che più mi ha affascinato. Avevo letto molto del ritrovamento di quei meravigliosi colossi che i secoli avevano quasi sotterrato nella sabbia, e dell’incredibile spostamento che avevano subito prima della fine della costruzione della grande diga di Aswan… ma niente, credo, ti può preparare al momento in cui giri l’angolo e ti ritrovi davanti l’incredibile viso di Ramses II rivolto verso le acque del Nilo. Sono rimasta senza fiato, mentre Assunta accanto a me quasi gridava: "Oh Dio!"
                                                                                                                                               


Ramses II da giovane



Erika e Carlo davanti al tempio

                                                              
Sono stata ore sotto il sole del tropico a guardare quel tempio che Hossam ci descriveva in ogni suo particolare, bevevo con gli occchi ogni particolare, quasi inebetita da tanta bellezza. Ogni angolo, ogni statua, ogni colonna, ogni scena, ogni affresco, ogni piccola cosa mi ha commossa, meravigliata, affascinata, ed ogni volta che decidevo di andarmene perché ormai tutti i componenti del nostro gruppo stavano rientrando verso il pullman, tornavo indietro a guardare di nuovo gli occhi di Ramses, il suo sorriso sereno, pensando semplicemente non lo rivedrò mai più, mai più, voglio guardarlo una volta ancora…

...Ed è così che mi sono beccata un bel colpo di calore e sono stata malissimo fino a notte fonda, per poi portarmi addosso gli strascischi per i quattro giorni successivi.
Della breve crociera sul Nilo, iniziata dopo la visita ad Abu Simbel, ho goduto meno di quel che avrei voluto dato il malessere che mi  ha perseguitato per tutta la durata della navigazione… le cose viste sono state così tante da fare perfino fatica a non confonderle l’una con l’altra, e se non ci fossero le foto e la guida a ricordarmi i nomi dei templi, la loro collocazione geografica, la data in cui li ho visitati, oggi probabilmente i miei ricordi sembrerebbero un po’ un profumato pot-pourri…  ma ogni luogo mi ha dato un’emozione, ogni visita ha arricchito la mia mente ed il mio cuore, ogni foto ha per me un valore immenso e ne avrà sempre di più nel tempo. I colossi di Memnon, incredibili guardiani di un tempio ormai sparito, il maestoso tempio di Iside anch’esso spostato negli anni settanta da un’isola all’altra affinché non venisse sommerso dalle acque del Nilo, il tempio di Kom Ombo con i suoi coccodrilli imbalsamati ed i suoi incredibili geroglifici a testimoniare una civiltà inimmaginabile, il grandioso tempio di Karnak con le sue enormi colonne, quello di Luxor con il suo famoso viale delle Sfingi… sono solo alcune delle meraviglie viste in quei giorni, lungo le rive di un fiume magico che ho fotografato in ogni sua luce, mentre la motonave navigava lentamente ed in silenzio sfiorando appena la vita che pulsa in quella valle incredibilmente verde. Malgrado il mio malessere sono stata ore a guardare le rive del fiume scorrermi davanti, la vegetazione rigogliosa, le feluche spinte dal vento, uomini ed animali godere di quell’acqua che per l’Egitto è sempre stata una divinità ed una benedizione.


       
Il Nilo nelle prime luci dell'alba...  



   
…. ed al tramonto
        
                                
    
Feluca al tramonto e le prime luci della notte ad Aswan

 Un grazie al mio amico Lorenzo che mi ha regalato queste due ultime belle foto
                                                                                   
Ma di quei giorni c’è soprattutto un momento che non dimenticherò mai, e non avevo davanti né un tempio, né una statua, non ero in un museo e vedevo solo chilometri di deserto, piccoli nuclei di case poverissime, pareti rocciose disseminate di buchi, e polvere, polvere ed ancora polvere sotto un sole atroce… eravamo in pullman ed Hossam semplicemente ha detto: "Signori, benvenuti nelle braccia della storia". 

Stavamo entrando nella Valle dei Re.

Quanti documentari ho visto su quella valle… quanti libri, riviste, articoli dovevano avermi preparata a quell’angolo di mondo… ed in fondo non ho visto che una parte di quelle centinaia di tombe, e non ho avuto neanche il piacere di scendere in quella di Tut-Ankh-Amon, chiusa in quel periodo… quello che non potevo immaginare, al di là degli affreschi dai colori così vivi da sembrare dipinti pochi giorni prima, e degli splendidi bassorilievi, e di quei soffitti tempestati di stelle, e dei sarcofagi e di quella solennità che mi aspettavo, quello che non potevo immaginare è stata la sensazione di trovarmi in un luogo sacro, dove migliaia, centinaia di migliaia di uomini sono morti di fatica per dare una degna sepoltura al loro re, dove il suolo di quell’arido deserto non è altro che un immenso cimitero che ha nascosto per millenni tesori incredibili ed ha protetto il sonno di centinaia di faraoni e principi.

     
                                                                        
        

Dopo la Valle dei Re, l’attesa visita al tempio di Hatshepsut nella Valle delle Regine… tempio funebre dell’unica regina faraone della storia dell’Egitto, è un canto alla bellezza, a quella donna incredibile, alla vita. Tuttavia non è la bellezza di questo tempio scavato in parte nella roccia viva che mi fa decidere di parlarne in questo resoconto delle mie emozioni, bensì un flash che è scattato nella mia mente nel vedere quella lunga scalinata… nel 1997, a novembre, su quella bella scalinata ed in quel tempio hanno perso la vita più di sessanta turisti europei per un attentato che ha visto morire anche diversi poliziotti egiziani e tutti gli attentatori. Credo che il tempio di Hatshepsut sarà per sempre abbinato nella mente dei turisti a quel terribile fatto di sangue, e comunque malgrado l’ammirazione che mi ha come sempre vista estasiata di fronte a tanta bellezza, non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ in colpa per essere così felice in un luogo dove troppe persone hanno sofferto, hanno avuto paura, sono morte o hanno perso i loro cari. Io non so più pregare… ma per un lungo momento, guardando quel magnifico, imponente tempio sovrastato dalla roccia, ho cercato di sentire dentro di me le voci delle anime che in quel luogo hanno perso il loro corpo terreno… e per un istante, mi è sembrato di sentirle, allora ho chiuso gli occhi per chiedere loro perdono della mia gioia.

    


Il tempio di Hatshepsut e la montagna in cui è scavato, la scalinata, ed io che copio la regina

Quando è arrivato il momento di lasciare la nave, il gruppo di persone in cui cominciavamo a sentirci integrati e di cui molti tornavano in Italia, la bella animazione di cui avevamo goduto, e soprattutto la nostra meravigliosa guida Hossam, ho sentito che stavo chiudendo un capitolo breve ma incredibilmente intenso della mia vita… avevo visto bellezze a cui nessuna guida, nessun libro o documentario mi aveva veramente preparato, avevo provato emozioni così intense che raramente ricordo di aver provato per un luogo o un monumento, avevo assaporato, bevuto, respirato il mio Egitto attimo per attimo per paura di non cogliere ogni particolare, e pensavo che niente, niente più di quella bella terra mi avrebbe ancora sorpreso, e che nella settimana successiva mi aspettasse semplicemente qualche bella giornata di riposo ed abbronzatura.
Poi ho attraversato il deserto nelle ore più calde ed ho visto e fotografato i miraggi azzurri e oro; il tramonto ci ha regalato una pioggia di colori caldi; dopo ore di sabbia dorata è arrivato l’azzurro-turchese del mar Rosso. E quella sera mi sono addormentata con negli occhi i colori di un deserto che nei giorni precedenti avevo scoperto tutt’altro che deserto, e che mi aveva riservato ben più di una sorpresa.


       
Miraggi nel deserto


  
Il tramonto sul deserto, ed il Mar Rosso oltre il deserto


Anche il Mar Rosso mi ha riservato molte belle sorprese ed è stato molto, molto generoso di emozioni. La vacanza di riposo ed abbronzatura che mi aspettavo è stata invece una continua scoperta, a partire dalla bellezza incredibile della barriera corallina in un posto dove l’uomo ed il turismo non l’hanno intaccata né spero lo faranno mai visto che i controlli sono severissimi.
Poi c’è stata la baia di Abu Dabab ed una delle più grandi emozioni della mia vita. Ci eravamo andati nella speranza di incontrare durante lo snorkeling il famoso dugongo ma di questo non si è visto neanche l’ombra… però, come ci aveva promesso la guida, abbiamo visto decine di tartarughe marine, e mi sono quasi messa a piangere quando me ne son trovata una a circa mezzo metro, immensa e commovente, commovente per me che finora ne avevo vista soltanto una all’acquario di Genova. Avrei potuto allungare una mano e toccarla, avevo la tentazione fortissima di farlo ma ho rispettato le disposizioni della guida, e mi sono accontentata di fotografarla con una macchinetta monouso nella speranza che almeno una foto venisse decente. Ecco il risultato:

 
Mi commuovo ancora a guardarla...
 Mamma mia che emozione!
   
L’albergo in cui abbiamo alloggiato era in un posto dimenticato, in pieno deserto, a circa dieci chilometri dall’unico piccolo centro abitato, e passeggiare sulla spiaggia nelle ore meno calde mi ha dato la sensazione di essere piccola piccola… mi è sempre piaciuto passeggiare sul bagnasciuga, anche a Tirrenia tra la gente, ma camminare nel deserto con i piedi a sfiorare un’acqua cristallina e calda, tra rocce basse tappezzate  di splendide conchiglie e di stelle marine nere che giocavano a nascondino,  è stato completamente diverso. Come ben diverso dai bagnetti rinfrescanti è stato fare ore di snorkeling, trovarsi di fronte coralli che davano alla barriera l’aspetto di un giardino fioritissimo, pesci chirurgo o pagliaccio coloratissimi, eleganti aquile di mare, buffi pesci palla ed inquietanti pesci scorpione, ed un’esplosione continua ed instancabile di colori e luci… uscivamo dall’acqua solo per stanchezza, né io né Carlo siamo esperti e quando ci allontanavamo troppo dall’albergo ci prendeva anche un pizzico di inquietudine. Inaspettatamente, quel viaggio tra le braccia della natura non mi è piaciuto meno del viaggio tra le braccia della storia di questo magnifico, emozionante, incredibile paese che è l’Egitto…  il "mio" Egitto.