domenica 30 gennaio 2011

Le fusa di Oscar, l'Alzheimer, i ricordi

Ho letto ultimamente un libro che si chiama "Le fusa di Oscar", scritto dal dottor David Dosa, geriatra. E' un libro che  mi ha fatto riflettere molto... e che mi ha fatto anche male a dire il vero, perché parla, sia pure in modo sereno e con parole semplici, di una malattia terribile, incurabile, che distrugge il paziente e le persone che lo assistono: la sindrome di Alzheimer, che ha accompagnato mio padre alla morte a soli 62 anni, dopo otto anni di malattia e di vita che vita non era più.

Oscar è un gatto, solo un bel gatto, che ha la particolare capacità di accorgersi quando uno degli ospiti della casa di cura in cui vive, ospiti spesso affetti da demenza, sta per varcare la soglia della morte. Nel suo libro, che racconta della sua esperienza reale, il medico cerca una spiegazione a questo fatto e la trova nell'odore che l'essere umano emette nelle sue ultime ore, quando con la morte delle cellule i carboidrati sono degradati in altri composti chimici tra cui i chetoni, che danno un odore caratteristico. Forse Oscar, grazie all'olfatto sopraffino dei felini, sente questo odore, e questo spiegherebbe perché si accorge che quel paziente sta morendo... ma perché decida proprio allora di accoccolarsi accanto a lui e di rimanervi fino al suo ultimo respiro, anzi finché non lo portano via, per questo no, non c'è spiegazione.

Se devo essere sincera non è il comportamento del gatto che mi ha colpita in questo libro. Della sensibilità di queste  meravigliose creature che qualcuno (che non li conosce affatto) definisce egoisti, non mi stupisco più. E' per come si affronta l'argomento Alzheimer che l'ho letto con la gola chiusa, e con un torrente di ricordi che mi correva incontro e mi travolgeva senza che potessi far niente per fermarlo. Mi è successo anche qualche mese fa, guardando il bel film "Una sconfinata giovinezza"... l'ho guardato col cuore stretto, e dopo ho pianto come una bambina, per i troppi ricordi dolorosi che  certe scene mi avevano fatto rivivere.

Sono passati ormai più di quindici anni dalla morte di mio padre. Silvia aveva compiuto cinque mesi e lui non aveva neanche realizzato di avere una nuova nipotina.

Quando il neurologo mi consegnò con fredda indifferenza quella atroce diagnosi, ho creduto di morire soffocata, non riuscivo a crederci, mio padre aveva solo cinquantaquattro anni, era in pieno benessere, era un uomo giovane e pieno di vita, e quella diagnosi era peggiore della morte. Non dimenticherò mai l'indifferenza di quel medico, ma soprattutto non dimenticherò mai quello che ho provato quel giorno, il dolore forte, l'angoscia del doverlo dire a mia madre, la paura per il futuro, e la pietà, la pietà immensa per quell'uomo col quale non ero mai andata d'accordo ma al quale riconoscevo comunque tutti i pregi, soprattutto quello di aver sempre aperto la sua casa a chi ne aveva bisogno o a chi semplicemente desiderava entrarci, come i miei amici. Un uomo orgoglioso, indipendente, molto attaccato alla sua famiglia, severo con i figli, troppo severo ma oggi so che faceva parte della sua educazione, un uomo del sud e della sua epoca non poteva dimostrare mai tenerezza o debolezza... eppure con i suoi nipoti era dolcissimo,  si scioglieva come burro al sole, li riempiva di baci, li coccolava, li viziava, faceva insomma tutto quello che aveva negato a noi... sono felice che abbia avuto perlomeno la possibilità di conoscere i suoi due primi nipotini, di averli tenuti in braccio, di averci scherzato, Erika si ricorda a malapena di lui ma perlomeno io ho avuto la possibilità di vedere il lato tenero di mio padre, quello che credevo non esistesse.

Sono stati otto anni terribili quelli che dalla diagnosi hanno portato alla sua morte. Otto anni iniziati con il tentativo di riprendere la sua vita normale... ma la sua vita, normale non è stata mai più. Dopo il ricovero, ripreso il lavoro, passava da me a prendere l'endovenosa che gli era stata prescritta... e mi descriveva la sua confusione, si rendeva conto di non essere lucido, io sdrammatizzavo, lo stimolavo, ed avevo il cuore stretto in una morsa. Dopo pochi giorni uscì dal lavoro per recarsi in trasferta e tornò indietro dopo poco... non ricordava più cosa doveva fare.
Fu solo l'inizio. Tutto il resto non sto a raccontarlo. Otto anni di sofferenza per lui e per mia madre. Il tentativo di tamponare i peggioramenti man mano che si presentavano, i ricoveri a Firenze, la mancanza di centri specializzati e di aiuti concreti, la fase depressiva, quella aggressiva, quella ipocondriaca......fino al niente, al non essere più niente, solo un corpo distrutto. Un percorso doloroso e faticoso che ha lasciato tutti terribilmente provati, soprattutto mia madre. Ed oggi, a distanza di più di quindici anni, ancora il senso di vuoto. E' morto con la sua mano nella mia, ma non sono stata capace di fare altro che ascoltare il suo respiro rallentare, il suo polso fermarsi, non sono stata capace di piangere. Aveva smesso di soffrire, finalmente; aveva smesso di star male e far star male mia madre, ed io mi vergognavo di me, del mio sollievo, ma quella notte quello ho provato, sollievo.

Il dolore è venuto dopo. E lo provo ancora. Quando penso a quel medico ed a quelle parole indifferenti.  Quando ricordo la nostra casa sempre piena di gente allegra. Quando penso al suo modo di ridere. Quando lo guardo nell'unica foto che tengo in casa, dove lui suona la fisarmonica e sorride. Quando realizzo che la sua atroce malattia gli ha tolto quella parte di vita in cui di solito si raccolgono i frutti di una vita di lavoro, noi figli eravamo ormai grandi ed accasati, la casa in cui viveva con mia madre era diventata loro, ed insieme a mia madre faceva progetti di vacanze e di viaggi da fare una volta in pensione. Non ha vissuto niente di tutto questo. Niente.
Mi chiedo se qualcosa di lui è rimasto. Non di quel povero rudere che se n'è andato quella notte di agosto, ma di mio padre, quello della mia infanzia, quello che mi portò via dall'ospedale per farmi vedere Il Libro della Giungla, quello che durante una nottata che non dimenticherò mai mi ha permesso di stare sveglia accanto a lui per guardare il primo sbarco sulla luna, quello che mi ha portata per la prima volta nel museo egizio di Torino, quello che mi ha costruito una bacheca di legno che fa bella mostra di sè nella mia cucina, quello che suonava il benjo, il mandolino, la fisarmonica, quello che mi preparò un meraviglioso falò per farmi festeggiare l'ultimo dell'anno con i miei amici, quello che mi ha accompagnata all'altare con gli occhi lucidi...  mio padre l'elettricista, mio padre che sapeva aggiustare tutto, mio padre geloso e severo ma anche cordiale e socievole con tutti, mio padre intelligente, mio padre musicista, collezionista, artista, generoso, curioso, emotivo, onesto, orgoglioso... mi chiedo se può vedermi, se può sentire il mio dispiacere per tutte le grane che gli ho dato da adolescente, e per non essere mai stata capace, almeno non a parole né a gesti, di dimostrargli il mio affetto.

Dove sarai, papà.

Tu non ce l'avevi Oscar quella notte accanto a te. Avevi molto di più. Avevi  i tuoi figli, i tuoi generi, tua nuora, tua moglie, tuo fratello, i tuoi amici, i tuoi parenti... la testimonianza del fatto che nella tua vita avevi meritato amore.


E per sdrammatizzare un po' concludo con una frase letta proprio in questo libro, e che mi ha fatto sorridere tra le lacrime:

 "Un cane viene quando lo chiami. Un gatto registra il messaggio e ti richiama".


lunedì 17 gennaio 2011

Ho tre mesi, sono sempre un terremoto, ma conquisto chiunque




Tish dovrebbe aver compiuto tre mesi in questi giorni. E' sempre più bello, sempre più vivace, ed io sono se possibile ancora più innammorata ed orgogliosa di lui. Che sia stato separato dalla mamma in un momento in cui lei era insostituibile fa di lui un piccolo miracolo vivente, ed incrociare i suoi occhi adoranti mi riempie ancora di emozione.



 


Mi dicono che sembra un gatto norvegese... non lo so, so solo che è bello, bellissimo. Ma io lo adorerei anche se non lo fosse.









La cosa più importante dall'ultimo post è che in barba ad ogni previsione, ha conquistato perfino Minou! Non è stato facile, ma la sua tenacia ha vinto su quella della mia principessa dagli occhi gialli, sul suo respingerlo ad ogni tentativo di avvicinamento, sulla sua chiara volontà di non voler avere niente a che fare con lui. Era uno spettacolo vederlo avvicinarsi a lei benché lei gli soffiasse, supplicare con gli occhi uno sguardo, un qualunque gesto di accettazione, ed osservare poi il suo avvilimento, la sua delusione quando dopo l'ennesimo eclatante rifiuto si allontanava da lei con le orecchie basse e la coda tra le gambe. Ma non si è mai dato per vinto. Lei soffiava, lui si allontanava e poi tornava. Lei ringhiava, lui scappava via e poi si riavvicinava. Lei mangiava, lui cercava di infilare il musetto nella sua ciotola e poi la guardava triste mentre lei si allontanava altezzosa. Sembrava un povero corteggiatore respinto ma tanto innammorato da non darsi mai per vinto.







E alla fine, ce l'ha fatta. Dopo qualche sporadica annusata da parte di lei, sono iniziate le prime zampatine reciproche, poi un qualcosa che somigliava al gioco del nascondino, infine senza più remore delle vere e proprie lotte che all'inizio mi davano molta apprensione: lui è ancora così piccolo, e lei pur non essendo di grande taglia poteva fargli molto, molto male. A mia grande gioia, è stato evidente da quasi subito che era davvero solo un gioco: nessuno dei due si faceva male, inizialmente era solo lui che la rincorreva e la assaliva ovunque fosse, ora è diventata una cosa reciproca, non si sente più soffiare, né ringhiare, si rotolano, si prendono in bocca orecchie, zampe, si avvinghiano e poi scappano si rincorrono si ritrovano... lo farebbero ad ore intere!



 Tishy ha dalla sua l'energia dei suoi tre mesi, Minou a mio parere la sorpresa e la scoperta di qualcosa che non aveva mai fatto: giocare con un altro gatto. Quando aveva solo sei mesi lei era stata aggredita da un maschio che l'aveva ridotta malissimo... tanto da temere che morisse. Da allora lei ha rifiutato ogni contatto con altri gatti, e vederla soffrire in questi due mesi per la presenza di uno di loro proprio in casa sua, proprio nel regno dove lei si sentiva una regina incontrastata, ci ha fatto stare tutti male, consapevoli del fatto che sicuramente in fondo alla sua coscienza lei stava rivivendo la paura ed il dolore di quella bruttissima disavventura. Ma Tish, con il suo meraviglioso carattere, con la sua tenacia, la sua curiosità, il suo evidente immenso amore per quella regina nera che lo respingeva ma che non ha mai, mai cercato di fargli del male, ha fatto qualcosa che somiglia ad un miracolo. Ogni volta che giocano insieme mi sciolgo come neve al  sole, mi emoziono come quando da bambine le mie figlie si abbracciavano, sento una gioia infinita e non mi importa niente se durante le loro lotte mi lasciano in giro peli, se urtano o danneggiano qualcosa, la mia casa è anche la loro, le cose non sono altro che cose, ma loro... loro sono  per me una parte della mia famiglia, i miei amori immensi che adoro, ricambiata.








Minou ha ritrovato la serenità ed ha scoperto il gioco con un suo simile, Tish sta crescendo e si sta rendendo indipendente e sono sicura che non avrà nessuno dei problemi caratteriali che, mi dice la veterinaria, hanno a volte i gatti cresciuti senza mamma, vedo in loro un prolungamento di ciò che io stessa sono, serena, curiosa, piena di voglia di vivere e di conoscere, felice di avere un posto in questo mondo.









sabato 1 gennaio 2011

Auguri al mondo!

Voglio fare gli auguri al mondo, auguri per un nuovo anno che faccia dimenticare tutte le brutture di quello che se n'è andato... personalmente, l'anno dei miei cinquant'anni diventati ormai quasi cinquantuno, un anno difficile, piastrellato di eventi tristi, che però non mi hanno tolto né l'ottimismo né la voglia di credere fermamente in un domani migliore.
Gli anni stanno facendo scempio della mia fantasia, della mia energia, della mia creatività, ma in un angolino nascosto la Anna adolescente ancora vive ride ama gioca scrive canta corre, e forse per questo mi sento  così in sintonia con la mia figlia più piccola, la quindicennequasisedicenne Silvia, con i suoi sogni segreti che sicuramente somigliano ai miei di tanti anni fa, con i suoi voli alti, con i suoi grandi ideali puliti, con la sua curiosità verso il mondo. In questo gli anni non mi hanno cambiata, anche se ovviamente non avrei più l'energia per fare quello che fa oggi Silvia, anche questa settimana impegnata con l'Operazione Mato Grosso a passare questi giorni di vacanza a lavorare anzichè godersi le feste. Sono rimasti identici gli ideali in cui credevo fermamente, anche se delusi da troppe realtà amare, identico il desiderio di aiutare chi è meno fortunato di me, identica la voglia di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, per non restare con il rimpianto, qualunque cosa mi succeda domani, di non aver veramente vissuto.
Quest'anno che ho salutato stanotte con cari amici, ha lasciato come ogni anno molte cicatrici sul mio cuore, delusioni, amarezze, speranze deluse, perdite, paure, lacrime, ma come sempre ho la consapevolezza che comunque ho ricevuto anche cose buone, prima fra tutte i tanti giorni sereni e gioiosi passati con la mia famiglia, vedere che pur tra mille difficoltà siamo uniti, solidali, felici di quello che la vita ci offre. Osservare Silvia che finalmente apre le porte del suo cuore al mondo, Erika che si sta costruendo con determinazione l'opportunità di un futuro sereno, Carlo che pur provato da un evento molto difficile ha ritrovato il suo spirito allegro e la sua autoironia, ed i miei amori a quattro zampe che finalmente convivono serenamente, queste poche cose sono quelle che non devo perdere di vista pensando all'anno passato... e se tutto il resto fa male, se una paura gelida si è insinuata forse per sempre nelle pieghe dell'anima di chi ha subito in giovanissima età l'orrore di una diagnosi maligna, se la nostra grande famiglia è stata privata di belle persone, se gli anni stanno facendo scempio di altre,  e se molte altre cose quest'anno mi hanno dato dolore, rimane comunque ferma in me la volontà di guardare al futuro con ottimismo.

Benvenuto dunque 2011... banalmente, il mio augurio a chiunque legga è quello di un anno sereno: 365 giorni da conservare nello scrigno dei bei ricordi.

Concludo con una poesia di Gianni Rodari, che con le sue parole semplici ed eterne è sempre stato uno dei miei autori preferiti.


Filastrocca di capodanno:
fammi gli auguri per tutto l'anno:
voglio un gennaio col sole d'aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un giorno senza sera,
voglio un mare senza bufera;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore del pesco;
che siano amici il gatto e il cane,
che diano latte le fontane.
Se voglio troppo, non darmi niente,
dammi una faccia allegra solamente. 



°.˛*.˛°˛.*★* ♥ BUON ♥ ★ 。* ♥
˛. ██*.。*./ ♥ \ .˛* .˛。.˛.*.★* ANNO *★ 。*
˛. (´• ̮•)*.。*/♫.♫\*˛.* ˛_Π_____. ♥ 2011 ♥ ˛* ˛*
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... ed un antico augurio tibetano:

"Ogni raggio dell'alba prenda per mano i tuoi sogni notturni più belli e li conduca nella realtà".