venerdì 20 febbraio 2009

Vita da volontari

Il tempo vola e mi ritrovo a guardare il calendario pensando con sorpresa: porca miseria sta finendo febbraio, e di tutte le cose che volevo fare questo mese che cos’ho fatto? Ma soprattutto stamattina ho pensato: mamma mia tra nove giorni c’è la pentolaccia!!! 


La Pentolaccia è la nostra festa di carnevale dedicata ai piccoli celiaci della Toscana, e che per noi del gruppo di Pisa dell’Associazione Italiana Celiachia significa un lavoro gigante di organizzazione, reperimento premi per la lotteria, invenzione di giochi per i bambini, lavoro, lavoro, ore di lavoro duro per preparare e cuocere 1200-1300 bomboloni senza glutine… Ieri sera ci siamo riuniti, qualche veterano e qualche nuova leva di un gruppo fantastico che si è riunito nel 2000 e di cui sono stata l’orgogliosa coordinatrice provinciale dal 2001 al 2006, e tra un dolcetto ed un bicchiere di coca-cola, una battuta ed una risata, penne e fogli e volontà, abbiamo buttato giù programmi ed idee, liste della spesa e delle cose, delle mille cose da fare. Abbiamo fatto mezzanotte passata come sempre, rubando sonno e tempo a noi stessi per altri che forse non si rendono conto di quanto duro sia il lavoro del volontario, e da oggi inizia il panico… intanto, quali dolci porto per il mercatino degli assaggi? Devono essere rigorosamente senza glutine e questo è ovvio, ma devono essere anche originali, belli, invitanti, magari semplici da fare…. inizia la ricerca tra libri di ricette e fantasia, e questa settimana in famiglia qualche volontario dovrà rinunciare alla dieta dimagrante per farmi da cavia!

Da oggi però inizia anche l’entusiasmo di ogni anno, di quando sai che centinaia di persone verranno per mangiare i nostri bomboloni ed i nostri dolci, e porteranno i loro bimbi sapendo che passeranno un pomeriggio divertente durante il quale per una volta non si sentiranno disagiati ma privilegiati, senza immaginare le ore in piedi che avremo passato in cucina a pesare, impastare, prendere al volo il punto giusto di lievitazione, friggere, rotolare nello zucchero e… veder mangiare di gusto, e sentire la stanchezza sparire di fronte al sorriso timido o estasiato di un bambino, alle bocche sporche di zucchero, alle vocine che chiedono ne posso avere un altro, e la domanda che sempre qualcuno pone con gli occhi sgranati: ma davvero posso mangiarli?


Dura la vita del volontario… dura perché toglie tempo alla tua famiglia, ai tuoi amici ed a te stessa, ti fa passare fuori serate fredde o di pioggia in cui staresti volentieri al calduccio davanti alla tv, e ti spinge a rompere le scatole a familiari e conoscenti e colleghi di lavoro affinché ti comprino un biglietto della lotteria o vengano a darti una mano durante le manifestazioni, e ti costringe a stare in piedi al freddo durante i mercatini di Natale per informare la gente, e potrei riempire pagine e pagine raccontando quanto lavoro comporti decidere di essere membro attivo di  una ONLUS… ma la soddisfazione di vedere un bambino felice, anche uno solo, per ciò che gli hai donato, ha il potere di far scomparire ogni stanchezza e di far apparire bellissimo ogni sacrificio fatto. Quando i bambini poi, come succede in occasione della Pentolaccia, sono centinaia… allora ti senti al centro del mondo.

sabato 14 febbraio 2009

Il mio Egitto... l'emozione di un sogno vissuto.

Desideravo da una vita intera visitare l’Egitto. Ho letto interi libri su questo antico popolo, sulla sua storia, sull’interpretazione dei geroglifici, sui monumenti ancora esistenti, sulle teorie riguardo le piramidi, sulle scoperte delle tombe, sulla valle del Nilo e chi più ne ha più ne metta. Così ho fatto come le formichine, risparmiando briciola su briciola per potermi concedere il viaggio di nozze che non ho fatto venticinque anni fa. Ho tanto desiderato vedere l’Egitto quanto temuto di morire prima di riuscirci, ed aspettavo questo viaggio con il timore che qualcosa dovesse per forza andare storto, come sempre quando hai investito troppe speranze, troppe aspettative su un progetto. Poi quel giorno è venuto. Dopo mille peripezie, agenzie su agenzie consultate, con una corsa finale per Erika che si è aggregata all’ultimo a nostra immensa gioia (ma che patema d’animo), e con un ritardo della partenza dell’aereo che mi ha fatto temere il peggio, finalmente oggi posso dire di aver visto un po’, solo un po’ dell’Egitto. Raccontare tutto quello che ho visto sarebbe forse noioso… per quello ci sono le foto, le quasi tremila foto fatte tra me, Erika, Silvia ed i miei amici Assunta e Lorenzo in viaggio con noi… eh sì, un po’ affollato come viaggio di nozze, ma erano nozze d’argento, e dopo venticinque anni insieme è il minimo avere due figlie meravigliose e due amici su cui contare, allora perché non coinvolgerli?
Raccontare le cose viste, dicevo, sarebbe scontato… per quello ci sono guide e foto. Quello che veramente mi rimarrà impresso di questo viaggio è l’emozione che ha accompagnato ogni giorno, ogni momento di quelle due settimane sul suolo egiziano, e se le foto rimarranno per sempre a ricordarmi ciò che ho visto, sono proprio quelle emozioni che temo di dimenticare, e che voglio fissare qui.
Emozione. Mi ha soffocato la gola già scendere dalla scaletta e toccare il suolo del Cairo. Sono in Egitto mi dicevo, credo anzi di averlo detto ad alta voce, ed avevo il cuore che scoppiava di gioia.
Emozione. Malgrado la stanchezza per una notte quasi insonne ho bevuto con gli occhi ogni immagine al di là del finestrino del pullman, e vedere all’improvviso, nella foschia dell’alba, la sagoma imponente ed irreale delle piramidi mi ha fatto venire le lacrime agli occhi: cinquemila anni e sono sempre lì… ma allora esistono davvero!
Emozione. Gli incredibili reperti presenti nel museo egizio sono qualcosa di indescrivibile, e la passione della nostra guida Hossam nel  presentarci i ritrovamenti più significativi ha reso magica quella visita.
Ma la vera emozione, che mi aspettavo ma che mi ha comunque spezzato il fiato e riempito gli occhi di lacrime, è stata quella che mi ha inondato il cuore e l’anima di fronte al viso di Tut-Ankh-Amon… guardavo quei lineamenti sereni e sussurravo dentro di me: ma sei davvero tu? ed io sono davvero qui davanti a te? 

 La maschera d'oro di Tut-Ankh-Amon

Quanti libri ho letto sul ritrovamento di quella tomba, quante foto ho guardato di quella maschera in oro, ma niente mi aveva veramente preparato alla bellezza di quel viso troppo giovane immortalato migliaia di anni fa. Hossam mi guardava sorridendo, credo in effetti fosse uno spettacolo divertente quello di una signora distrutta dalla mancanza di sonno in adorazione di fronte ad una teca, incantata, forse a bocca aperta, di sicuro con gli occhi rossi e lucidi.
Emozione. Guardare  le piramidi di Giza sempre più vicine, imponenti al di là degli edifici  del Cairo, fino a vederne ogni singola pietra, è stata un’altra emozione indimenticabile. Molte persone mi avevano detto: rimarrai delusa, sono troppo adiacenti alla città, e poi la folla ti toglie tutta la magia… Mah, evidentemente io so vedere aldilà della folla, della città, del brusio dei  turisti… io mi sono sentita immersa nella storia di un popolo magnifico, non ho visto né la città né la gente, ho visto solo qualcosa di incredibile che ha resistito ai millenni e che ancora ha né forse mai avrà una spiegazione, a partire da come hanno fatto a quel tempo ad erigere monumenti così imponenti, a mettere l’uno sull’altro quei massi enormi, o sul perché le piramidi sono tutte orientate in un certo modo, allineate in modo esatto con le tre stelle della cintura della costellazione di Orione. E se da una parte, è vero, vedi sullo sfondo la città, dall’altra il deserto si estende a vista d’occhio, con i suoi colori caldi ed il suo mistero.
  
  
Le piramidi di Giza ed il deserto 

                                                                                                                          

E che dire della sfinge? Immensa, solenne, così bella che nessuna parola, nessuna foto può renderle giustizia. Ma non sapevo che questa considerazione avrei poi dovuto farla per molti altri monumenti egiziani.
Del Cairo ricorderò le migliaia di taxi sgangherati, le strade ingombre di mezzi di tutti i tipi, dagli autobus di gran lusso ai carretti trainati dagli asinelli, le sagome inconfondibili delle moschee e dei loro minareti, la folla di gente nei mercati, le donne vestite all’occidentale ma con la testa coperta, gli edifici spesso fatiscenti ma dal tetto tappezzato di antenne paraboliche e dalle facciate ricoperte di motori per l’aria condizionata, i mille colori di una città immensa, caotica, incredibilmente viva fin dalle prime ore del mattino, che vorrei aver avuto la possibilità di conoscere un po’ meglio che dal finestrino di un pullman.
Chissà… forse in un’altra vita.
E poi c’è stata la piramide a gradoni di Saqqara… l’avevo vista in foto, solitaria millenaria, sorella umile delle grandiosi piramidi di Giza. Inaspettatamente, mi sono innammorata all’istante di quel sito archeologico pieno di polvere del deserto, dove gli scavi sono aperti da decenni, e dove il grande Imhotep progettò questa insolita tomba che ricorda un po’ le costruzioni azteche… Rispetto alle piramidi di Giza, che tra l’altro si intravvedono all’orizzonte, questa è meno imponente, meno famosa, ma le ho trovato un fascino difficile da descrivere a parole, il fascino delle cose un po’ offuscate dal tempo, un po’ demodé, ma piene di ricordi e tesori da scoprire.


 

Pensavo che la piramide di Saqqara mi avesse dato un’emozione unica, che rappresentasse un po’ dell’Egitto meno turistico, meno a portata di mano ma anche più genuino… Poi, il 4 settembre 2008, il giorno in cui festeggiavo il mio venticinquesimo anniversario di matrimonio, abbiamo fatto un lungo giro nel deserto alla scoperta di altre piramidi di cui non avevo mai sentito parlare. Se Giza mi aveva emozionato, se Saqqara mi aveva fatto fare un viaggio nei secoli, le piramidi di Meydum, di Dashur e la piramide romboidale mi hanno fatto respirare a pieni polmoni il profumo della storia, del mistero, dei segreti di questo incredibile popolo. E’ stato come mettere piede su un altro pianeta, conoscere un mondo mai neanche immaginato, senza bisogno che qualcuno me ne raccontasse la storia perché il vento del deserto e quelle meravigliose costruzioni sembravano parlarmi… Dio che magnifica sensazione, quel silenzio interrotto solo dal vento, quella solitudine così preziosa, quelle costruzioni che sembrano così irreali in pieno deserto… dovessi dire qual’è stato il giorno più bello, più magico di questo viaggio, e quale il posto che rivedrei, non avrei esitazioni… è stato quel giorno, nel deserto, alla scoperta delle piramidi nascoste.

La piramide rossa di Dashur

    
La piramide romboidale vista dalla piramide rossa  ..e la piramide rossa vista da quella romboidale
                                                     
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Particolarissima, praticamente intatta, la piramide romboidale
                                                             

    
Altre piramidi nel deserto. Quasi distrutte, ma sempre affascinanti
                                                            
                                                                                                    
     

La piramide di Meydum
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                
Quella sera mi sentivo inebriata da immagini stampate per sempre nella mia mente, dalla sabbia del deserto respirata per gran parte del giorno e che mi sono portata a casa in una bottiglietta, dal vento incessante che mi aveva riempito i capelli ed i vestiti di polvere dorata, dal sole africano che non dimenticherò mai, ma soprattutto da quel susseguirsi di piramidi e tombe di cui non conoscevo l’esistenza e che avevo scoperto e visitato con lo stupore e l’entusiasmo di un bambino. Mi sentivo ricca e felice come chi ha appena ricevuto un regalo inatteso e prezioso, e non dimenticherò mai neanche la sorpresa di una torta a forma di cuore che le mie figlie ed i miei amici hanno fatto arrivare al nostro tavolo per festeggiare il nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio… e questo ha reso quella giornata semplicemente perfetta.
Il giorno dopo abbiamo preso l’aereo per atterrare sotto il tropico del cancro e visitare il tempio di Abu Simbel… e dopo le piramidi nel deserto, quello è stato in assoluto il sito che più mi ha affascinato. Avevo letto molto del ritrovamento di quei meravigliosi colossi che i secoli avevano quasi sotterrato nella sabbia, e dell’incredibile spostamento che avevano subito prima della fine della costruzione della grande diga di Aswan… ma niente, credo, ti può preparare al momento in cui giri l’angolo e ti ritrovi davanti l’incredibile viso di Ramses II rivolto verso le acque del Nilo. Sono rimasta senza fiato, mentre Assunta accanto a me quasi gridava: "Oh Dio!"
                                                                                                                                               


Ramses II da giovane



Erika e Carlo davanti al tempio

                                                              
Sono stata ore sotto il sole del tropico a guardare quel tempio che Hossam ci descriveva in ogni suo particolare, bevevo con gli occchi ogni particolare, quasi inebetita da tanta bellezza. Ogni angolo, ogni statua, ogni colonna, ogni scena, ogni affresco, ogni piccola cosa mi ha commossa, meravigliata, affascinata, ed ogni volta che decidevo di andarmene perché ormai tutti i componenti del nostro gruppo stavano rientrando verso il pullman, tornavo indietro a guardare di nuovo gli occhi di Ramses, il suo sorriso sereno, pensando semplicemente non lo rivedrò mai più, mai più, voglio guardarlo una volta ancora…

...Ed è così che mi sono beccata un bel colpo di calore e sono stata malissimo fino a notte fonda, per poi portarmi addosso gli strascischi per i quattro giorni successivi.
Della breve crociera sul Nilo, iniziata dopo la visita ad Abu Simbel, ho goduto meno di quel che avrei voluto dato il malessere che mi  ha perseguitato per tutta la durata della navigazione… le cose viste sono state così tante da fare perfino fatica a non confonderle l’una con l’altra, e se non ci fossero le foto e la guida a ricordarmi i nomi dei templi, la loro collocazione geografica, la data in cui li ho visitati, oggi probabilmente i miei ricordi sembrerebbero un po’ un profumato pot-pourri…  ma ogni luogo mi ha dato un’emozione, ogni visita ha arricchito la mia mente ed il mio cuore, ogni foto ha per me un valore immenso e ne avrà sempre di più nel tempo. I colossi di Memnon, incredibili guardiani di un tempio ormai sparito, il maestoso tempio di Iside anch’esso spostato negli anni settanta da un’isola all’altra affinché non venisse sommerso dalle acque del Nilo, il tempio di Kom Ombo con i suoi coccodrilli imbalsamati ed i suoi incredibili geroglifici a testimoniare una civiltà inimmaginabile, il grandioso tempio di Karnak con le sue enormi colonne, quello di Luxor con il suo famoso viale delle Sfingi… sono solo alcune delle meraviglie viste in quei giorni, lungo le rive di un fiume magico che ho fotografato in ogni sua luce, mentre la motonave navigava lentamente ed in silenzio sfiorando appena la vita che pulsa in quella valle incredibilmente verde. Malgrado il mio malessere sono stata ore a guardare le rive del fiume scorrermi davanti, la vegetazione rigogliosa, le feluche spinte dal vento, uomini ed animali godere di quell’acqua che per l’Egitto è sempre stata una divinità ed una benedizione.


       
Il Nilo nelle prime luci dell'alba...  



   
…. ed al tramonto
        
                                
    
Feluca al tramonto e le prime luci della notte ad Aswan

 Un grazie al mio amico Lorenzo che mi ha regalato queste due ultime belle foto
                                                                                   
Ma di quei giorni c’è soprattutto un momento che non dimenticherò mai, e non avevo davanti né un tempio, né una statua, non ero in un museo e vedevo solo chilometri di deserto, piccoli nuclei di case poverissime, pareti rocciose disseminate di buchi, e polvere, polvere ed ancora polvere sotto un sole atroce… eravamo in pullman ed Hossam semplicemente ha detto: "Signori, benvenuti nelle braccia della storia". 

Stavamo entrando nella Valle dei Re.

Quanti documentari ho visto su quella valle… quanti libri, riviste, articoli dovevano avermi preparata a quell’angolo di mondo… ed in fondo non ho visto che una parte di quelle centinaia di tombe, e non ho avuto neanche il piacere di scendere in quella di Tut-Ankh-Amon, chiusa in quel periodo… quello che non potevo immaginare, al di là degli affreschi dai colori così vivi da sembrare dipinti pochi giorni prima, e degli splendidi bassorilievi, e di quei soffitti tempestati di stelle, e dei sarcofagi e di quella solennità che mi aspettavo, quello che non potevo immaginare è stata la sensazione di trovarmi in un luogo sacro, dove migliaia, centinaia di migliaia di uomini sono morti di fatica per dare una degna sepoltura al loro re, dove il suolo di quell’arido deserto non è altro che un immenso cimitero che ha nascosto per millenni tesori incredibili ed ha protetto il sonno di centinaia di faraoni e principi.

     
                                                                        
        

Dopo la Valle dei Re, l’attesa visita al tempio di Hatshepsut nella Valle delle Regine… tempio funebre dell’unica regina faraone della storia dell’Egitto, è un canto alla bellezza, a quella donna incredibile, alla vita. Tuttavia non è la bellezza di questo tempio scavato in parte nella roccia viva che mi fa decidere di parlarne in questo resoconto delle mie emozioni, bensì un flash che è scattato nella mia mente nel vedere quella lunga scalinata… nel 1997, a novembre, su quella bella scalinata ed in quel tempio hanno perso la vita più di sessanta turisti europei per un attentato che ha visto morire anche diversi poliziotti egiziani e tutti gli attentatori. Credo che il tempio di Hatshepsut sarà per sempre abbinato nella mente dei turisti a quel terribile fatto di sangue, e comunque malgrado l’ammirazione che mi ha come sempre vista estasiata di fronte a tanta bellezza, non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ in colpa per essere così felice in un luogo dove troppe persone hanno sofferto, hanno avuto paura, sono morte o hanno perso i loro cari. Io non so più pregare… ma per un lungo momento, guardando quel magnifico, imponente tempio sovrastato dalla roccia, ho cercato di sentire dentro di me le voci delle anime che in quel luogo hanno perso il loro corpo terreno… e per un istante, mi è sembrato di sentirle, allora ho chiuso gli occhi per chiedere loro perdono della mia gioia.

    


Il tempio di Hatshepsut e la montagna in cui è scavato, la scalinata, ed io che copio la regina

Quando è arrivato il momento di lasciare la nave, il gruppo di persone in cui cominciavamo a sentirci integrati e di cui molti tornavano in Italia, la bella animazione di cui avevamo goduto, e soprattutto la nostra meravigliosa guida Hossam, ho sentito che stavo chiudendo un capitolo breve ma incredibilmente intenso della mia vita… avevo visto bellezze a cui nessuna guida, nessun libro o documentario mi aveva veramente preparato, avevo provato emozioni così intense che raramente ricordo di aver provato per un luogo o un monumento, avevo assaporato, bevuto, respirato il mio Egitto attimo per attimo per paura di non cogliere ogni particolare, e pensavo che niente, niente più di quella bella terra mi avrebbe ancora sorpreso, e che nella settimana successiva mi aspettasse semplicemente qualche bella giornata di riposo ed abbronzatura.
Poi ho attraversato il deserto nelle ore più calde ed ho visto e fotografato i miraggi azzurri e oro; il tramonto ci ha regalato una pioggia di colori caldi; dopo ore di sabbia dorata è arrivato l’azzurro-turchese del mar Rosso. E quella sera mi sono addormentata con negli occhi i colori di un deserto che nei giorni precedenti avevo scoperto tutt’altro che deserto, e che mi aveva riservato ben più di una sorpresa.


       
Miraggi nel deserto


  
Il tramonto sul deserto, ed il Mar Rosso oltre il deserto


Anche il Mar Rosso mi ha riservato molte belle sorprese ed è stato molto, molto generoso di emozioni. La vacanza di riposo ed abbronzatura che mi aspettavo è stata invece una continua scoperta, a partire dalla bellezza incredibile della barriera corallina in un posto dove l’uomo ed il turismo non l’hanno intaccata né spero lo faranno mai visto che i controlli sono severissimi.
Poi c’è stata la baia di Abu Dabab ed una delle più grandi emozioni della mia vita. Ci eravamo andati nella speranza di incontrare durante lo snorkeling il famoso dugongo ma di questo non si è visto neanche l’ombra… però, come ci aveva promesso la guida, abbiamo visto decine di tartarughe marine, e mi sono quasi messa a piangere quando me ne son trovata una a circa mezzo metro, immensa e commovente, commovente per me che finora ne avevo vista soltanto una all’acquario di Genova. Avrei potuto allungare una mano e toccarla, avevo la tentazione fortissima di farlo ma ho rispettato le disposizioni della guida, e mi sono accontentata di fotografarla con una macchinetta monouso nella speranza che almeno una foto venisse decente. Ecco il risultato:

 
Mi commuovo ancora a guardarla...
 Mamma mia che emozione!
   
L’albergo in cui abbiamo alloggiato era in un posto dimenticato, in pieno deserto, a circa dieci chilometri dall’unico piccolo centro abitato, e passeggiare sulla spiaggia nelle ore meno calde mi ha dato la sensazione di essere piccola piccola… mi è sempre piaciuto passeggiare sul bagnasciuga, anche a Tirrenia tra la gente, ma camminare nel deserto con i piedi a sfiorare un’acqua cristallina e calda, tra rocce basse tappezzate  di splendide conchiglie e di stelle marine nere che giocavano a nascondino,  è stato completamente diverso. Come ben diverso dai bagnetti rinfrescanti è stato fare ore di snorkeling, trovarsi di fronte coralli che davano alla barriera l’aspetto di un giardino fioritissimo, pesci chirurgo o pagliaccio coloratissimi, eleganti aquile di mare, buffi pesci palla ed inquietanti pesci scorpione, ed un’esplosione continua ed instancabile di colori e luci… uscivamo dall’acqua solo per stanchezza, né io né Carlo siamo esperti e quando ci allontanavamo troppo dall’albergo ci prendeva anche un pizzico di inquietudine. Inaspettatamente, quel viaggio tra le braccia della natura non mi è piaciuto meno del viaggio tra le braccia della storia di questo magnifico, emozionante, incredibile paese che è l’Egitto…  il "mio" Egitto.

mercoledì 11 febbraio 2009

Oggi, una giornata felice

Tra pochi minuti terminerà questa giornata, e non voglio che finisca senza aver detto a tutti quelli che vorranno ascoltarmi che è stata una giornata felice… oggi, giorno del mio quarantanovesimo compleanno, non ho festeggiato visto che lo avevo già fatto domenica con gli amici di sempre e con la mia meravigliosa ed adorata famiglia, ma non ho avuto bisogno di torte o candeline per sentirmi allegra e fortunata: mi sono sentita felice tutto il giorno,  a partire dal momento in cui sono entrata in cucina per prepararmi il caffè e sul tavolo ho trovato un biglietto colorato con un semplice "Auguri mamma" che mi ha scaldato il cuore. Ho un anno in più, qualche brutto ricordo in più, qualche esperienza negativa ma… un bilancio della mia vita positivo, e di questo sono molto grata alla vita.
Buon compleanno Nannarè…Sorriso

Una risposta a Oggi, una giornata felice

  1. paola scrive:

mercoledì 4 febbraio 2009

Silvia, rimembri ancor....

Terzo giorno, l’ultimo spero, inchiodata in casa da un brutto mal di schiena, comincio a sentirmi in galera e neanche il mio amato computer riesce a darmi gioia. Mi sono riletta comunque le poche pagine di questo blog chiedendomi come sempre se non passerò da rincoglionita agli occhi del mondo, o meglio degli amici che capiteranno su questo sito o delle mie figlie che ovviamente ci fanno ogni tanto una giratina (con quale spirito? boh…). Ma nello stesso tempo non me ne importa… mi piace scrivere, far volare le dita sulla tastiera e far volare i pensieri senza troppo controllarli, fermarli sullo schermo come un tempo li fermavo sulla carta, godendomi la quiete dei momenti in cui mi dedico a me stessa scrivendo, come altre donne vi si dedicherebbero truccandosi o dandosi lo smalto sulle unghie.
Leggendo le pagine già scritte, mi accorgo di aver parlato poco o niente di Silvia… la mia peste di bimba, che fin da piccolina mi ha fatto dannare col suo carattere impossibile. Quattordici anni tra circa un mese… e sono quattordici anni che almeno una volta al giorno mi fa arrabbiare, ma almeno due  volte mi fa anche sorridere e scoppiare di orgoglio per le sue risposte pronte e la sua intelligenza, per il suo spirito indipendente, per i suoi principi sani, per la sua curiosità, per il suo spirito di osservazione, per il suo amore incondizionato per gli animali e gli esseri indifesi in generale, per il suo interessamento a cose più grandi di lei che non sempre capisce ma non per questo rinuncia a capire… Chiusa al dialogo se si tratta di se stessa, aperta se l’argomento non è lei, chiacchierona solo se ne ha voglia, altrimenti muta come una tomba… bella come il sole e, come molte adolescenti, convinta di essere bruttissima, e naturalmente il mio giudizio per lei non conta nulla. Un mistero per quanto riguarda i ragazzi, ce ne sarà almeno uno che le piace? Non so, non ne parla, ovviamente.
Quando è nata avevo paura che Erika ne fosse gelosa, così ho sempre cercato di dividermi in due, dando ad entrambe la stessa dose di coccole ed attenzioni… ma  ho capito fin troppo presto che non era Erika quella che rischiava di ingelosirsi! Silvia ha camminato presto da far paura (10 mesi!) e parlato poco dopo… una delle prime cose che ricordo di lei sono i suoi urli e calci ad Erika quando la coccolavo: "mia! mamma è mia!!! ", urlava a sua sorella. La brontolavo, dovevo farlo, tuttavia intenerita da quelle manifestazioni che comunque parlavano d’amore. Mi chiedevo tuttavia, se il buongiono si vede dal mattino,  come sarebbe andata la giornata! Risposta: un macello. Richieste di attenzione che si manifestavano in ogni occasione, a partire dalla sua testardaggine a non voler lasciare il pannolone malgrado i suoi tre anni, dal volere un ciuccio di colore diverso a secondo del suo umore, dal non voler indossare quello che le avevo preparato, dal buttarsi in terra urlando se contraddetta o spinta a fare qualcosa che non voleva,  ed episodi di questo tipo a non finire… mi arrabbiavo come non avevo mai fatto con  Erika che è sempre stata dolcissima e ragionevole, e qualche volta mi è scappato anche qualche sculaccione… Nello stesso tempo, ho dei ricordi dei suoi primi anni di vita che sono entrati a fare parte della storia… ne racconto due per tutti. 
Un mattino in cui eravamo sole in casa, lei avrà avuto due anni, mi seguiva come un’ombra mentre io mettevo un po’ d’ordine. Raccogliendo un suo pannolone dal pavimento del bagno le ho chiesto di portarlo nel secchio della spazzatura, e lei mi ha detto fermamente di no. "Come sarebbe a dire", le ho chiesto io, "allora non mi vuoi più bene?" E lei, serissima: "sì, ma ti voglio solo bene! "
Una sera mi porta un suo giocattolino: "mamma è rotto, me lo aggiusti?" . C’era solo una molla fuori posto, ed in pochi secondi il giocattolo era riparato. "Fatto, tesoro, hai visto come sono stata veloce? Veloce come una fatina". E lei, convinta: "no mamma, io direi che sei stata veloce come una peta! ".
Da allora, in casa nostra per dire che dobbiamo fare in fretta, diciamo tutti: dobbiamo essere veloci come pete!!!
E di cose così potrei raccontarne a centinaia… Uscite che sono entrate nella storia di casa nostra, e che vorrei aver scritto una ad una per non dimenticarle mai.
Crescendo c’è stata la fase delle bugie dette con occhioni ingenui, dei brutti voti nascosti fino all’inevitabile, del vestire esclusivamente con tute da maschio, del rifiuto della carne perché appartenente ad un animale, del portarmi in casa girini per assistere alla loro metamorfosi, topi sottratti alle mandibole di un gatto, uccellini feriti, insetti di tutti i tipi da osservare se vivi, da sezionare e guardare al microscopio se morti… Se mi sono appassionata all’astronomia lo devo a lei che una sera, dovendone osservarne la posizione in varie ore, mi ha indicato la costellazione di Orione e mi ha coinvolta nei disegni che doveva fare come compito per scuola. Per la sua comunione, mentre le altre bimbe chiedevano orecchini e braccialetti, lei ha voluto il microscopio, la macchina fotografica, il binocolo ed il telescopio. La sera in cui per la prima volta abbiamo, con l’aiuto di un amico, montato ed usato il telescopio ci siamo definitivamente innammorate del cielo… ma mentre io continuo a cercare i pianeti ed a sognare di fronte alla luna, lei è volata ad altre passioni, passando dall’astronomia all’equitazione alla chitarra e poi chissà… 
Una delle giornate memorabili della nostra famiglia è stata quella della primavera 2006 in cui, al ritorno da scuola, si è presentata in casa con in braccio un uccello marrone di una quindicina di centimetri, sporco, puzzolente, che si ribellava alle sue mani e cercava di beccarla, decisamente arrabbiato… "mamma. l’ho salvato da un cane, non ce la fa a volare, forse è ferito… ". Sono rimasta senza parole nel guardare quel becco decisamente da rapace, del tutto impreparata sul da farsi. Così lo abbiamo messo nella gabbietta del gatto, lo abbiamo osservato constatando che non sembrava ferito ma solo piccolo ed incapace di volare, e poi ho cercato sull’elenco la LIPU, scoprendo che a Pisa non esiste, per poi ripiegare sul WWF. Da un volontario ho saputo che probabilmente il trovatello di Silvia era un piccolo gheppio, e che sarebbe venuto qualcuno nel pomeriggio a prenderlo per portarlo in un’oasi protetta dove lo avrebbero tenuto fino a che non fosse diventato indipendente. Silvia non sapeva se essere felice o dispiaciuta… dopo una ricerca su internet che ci ha confermato che si trattava di un piccolo di gheppio, lo ha battezzato Gheppi, gli ha dato da mangiare i suoi wrustel, gli ha fatto un sacco di foto, lo ha accarezzato a lungo per tranquillizzarlo quando lanciava i suoi richiami disperati ("forse chiama la sua mamma?"), ma soprattutto era triste perché non poteva tenerlo con sé: si tratta infatti di un tipo di falco, animale protetto che è proibito tenere in cattività. Quando è venuto il volontario del WWF a prenderlo, Silvia aveva un musetto triste triste, anche se dopo mi ha detto con orgoglio: "mamma, gli ho salvato la vita!"












Eccolo qui, Gheppi il gheppio, nella gabbietta del gatto… arruffato, spaventato, ed oggi probabilmente splendido falco che plana libero nei cieli del Mugello (là si trova il centro di assistenza dove l’ha portato il volontario del WWF).



Qualche tempo dopo c’è stato un altro episodio rimasto famoso… Silvia trovò una mantide religiosa, e le costruì un habitat in una scatola da scarpe. La tenne in casa tre giorni, osservandone movenze e comportamenti, mentre io mi sforzavo di superare la mia avversione per gli insetti di grossa taglia senza riuscirci un granché. Quarto giorno, notiamo che Manti è un po’ mogia, così Silvia decide di riportarla dove l’ha trovata, e la adagia sul ramo di un albero. Due o tre ore dopo le chiedo: "sei andata a vedere se Manti è sempre lì?". E lei: "no, mamma, ho troppa paura di trovarla morta. Preferisco pensare che se ne sia andata in giro, che abbia trovato un maschio, che ci si sia accoppiata, che se lo sia mangiato, e buon per lei". Il tutto con grande serietà.
                                                    
                    
                                   
Manti la mantide

Insomma una ragazzina molto speciale, Silvia… speciale nel suo rapporto con gli animali, che ama e rispetta, ed anche in quello con le amiche, cui è molto fedele… non sembra avere niente delle vanità tipiche delle ragazze della sua età, odia dover mettersi in mostra ma sa mettersi in gioco, sceglie la strada migliore e non la più facile, e malgrado il suo carattere difficile è la figlia migliore che una mamma possa desiderare. Ma non diteglielo!!!
  1.  Erika scrive:
    :-) …..mamma non lo bloccare questo blog….mi fa sempre piacere leggere quello ke scrivi….e scoprire magari cose ke non so (come ad esempio in questo intervento…hai racconato episodi di silvia ke non mi ricordavo o ke forse non sapevo xkè troppo pikkola) e poi sono anke curiosa….kiss
  2. Anna scrive:
    Perché dovrei bloccare questo blog? Se fa piacere a te leggere, a me fa piacere scrivere… baci a te, principessa

lunedì 2 febbraio 2009

Serata di pioggia e ricordi

2 febbraio, ore 2,40

E’ stata una domenica piovosissima, passata  con gli amici di sempre, a giocare a carte ed a ridere di tutto e niente, a sgranocchiare troppe schifezze ed a sentirmi tutto sommato in pace con il mondo. Stasera, come succede spesso quando Carlo lavora, faccio fatica a dormire… e poco fa mentre scivolavo nel sonno, senza un motivo apparente, forse solo pensando a quanto sono preziosi gli amici, si è insinuato tra i miei pensieri il ricordo di una giornata di moltissimi anni fa, uno dei tanti ricordi relegati da tempo in uno scrigno prezioso e un po’ polveroso che ritrovo ogni tanto in un angolo buio e che apro con il cuore un po’ in tumulto, ogni volta con un’emozione nuova ed inattesa, ed una domanda incredula: come ho potuto dimenticare per tanto tempo, dimenticare momenti così particolari, e come potrò adesso che li ho ricordati relegarli di nuovo in quel vecchio scrigno? Eccolo… ecco il dolore, come poteva non arrivare? E dire che per qualche contorto sentiero i miei pensieri si erano limitati ad arrivare in silenzio in un anonimo condominio della periferia di Torino, in una piovosa sera come questa, dopo una serata  in birreria, in allegria,  in compagnia di amici stupendi, una serata piena di quiproquo terminata in un lettone matrimoniale in compagnia di Strumptruppen a ridere da sola in silenzio, con sensi di colpa giganteschi nei confronti di Enzo e Paolo che si erano adattati sul divano letto a una piazza e mezzo in cucina… come mai, mi sono chiesta un attimo fa, come mai quella sera non andai in cucina ad abbracciare Paolo, a ringraziarlo per la sua presenza, per la sua lealtà, per quel gesto da cavaliere così insolito da parte di un ragazzo di diciannove anni? Perché non ci è dato di capire nel momento giusto che avere un amico, un vero amico, è quanto di più bello e prezioso si possa desiderare? Com’è possibile che io quella sera mi sia limitata a sentirmi in colpa e non abbia capito quanto affetto c’era in quel semplice gesto? Com’è possibile che io non abbia costretto Enzo a tornarsene a casa all’uscita dalla birreria, com’è possibile che io non mi sia indignata al pensiero del motivo per cui Paolo quella sera lo pregò di venire anche lui a dormire a casa sua? Perché maledizione non ci ho riso su, perché non ho chiesto a Paolo di non fare il cretino, perché non gli ho detto che avevo troppa fiducia in lui perché fosse necessaria una cosa simile, perché non gli ho detto, visto che lo pensavo, che non mi sarei fatta problemi neanche a dormire con lui nello stesso letto?
Lo so che sono domande inutili, che non vogliono né avranno risposte. Ma ricordando quella sera mi sento così stupida, così immatura, così incapace di voler bene, così presuntuosa perfino! E come sempre quando penso a Paolo o ad Aldo, maledico quel 15 dicembre ed il destino che non concede mai, neanche per un attimo, di tornare indietro e di avere la possibilità, solo quella, di guardare negli occhi i miei amici e dir loro, soltanto, grazie… per il bene che mi avete voluto.
So anche, però, e ci credo fermamente, che con la morte non tutto se ne va. Ci ho sempre creduto, anche e soprattutto nei momenti difficili, anche quel giorno orribile in cui Carlo mi disse dell’incidente di Aldo e Paolo, quel giorno in cui urlai la mia disperazione, i miei no, non ci credo, contro le pareti della mia casa, contro il petto di Carlo, contro Dio, contro il mondo… Non ho smesso di crederci in tutti gli anni passati da allora, vissuti con la sensazione assurda che  un viaggio di quattro ore mi avrebbe permesso di riabbracciarli, o che un giorno o l’altro si sarebbero presentati a sorpresa al mio portone, come hanno fatto tante volte, precipitandosi in bagno e fingendo di non vedermi, pronti a regalarmi il mondo ed a farmi ridere come una bambina…
So che da qualche parte, di Paolo e di Aldo  qualcosa è rimasto, qualcosa di molto più vivo delle loro foto sulle lapidi, qualcosa di eterno, indistruttibile, grande, infinito. So che da qualche parte loro continuano a vivere, e che un giorno o l’altro li raggiungerò in un mondo che non so immaginare ma che non può non esistere, un mondo in cui Aldo avrà trovato rimedio alle sue insoddisfazioni, e Paolo avrà superato i suoi complessi, e dove sicuramente la loro bella amicizia li avrà aiutati ad accettare la loro nuova condizione.
Quante volte ho trovato consolazione in questo. Quante volte ho scritto per ore, immaginandoli vicini, a tenermi compagnia. Quante volte ho parlato con loro, e sorriso, alla fine, liberata dalle mie angosce… e quante volte ho trattenuto una risata nel pensare che se di Aldo e Paolo è rimasta anche solo una parte della loro allegria, della loro abitudine di prendere per il culo il mondo, chissà il subbuglio che hanno portato tra gli abitanti della loro attuale realtà.
Subito dopo la loro morte pensai che se esiste una vita al di là di questa, e se qualcosa di noi rimane o rinasce dopo la morte, allora sicuramente di loro quel qualcosa ancora vive nel volo di un’aquila, nel galoppo di un cavallo, nello scorrere di un torrente. In qualunque cosa libera. Ci credo con tutta me stessa, ci voglio credere. Forse anche per questo non desidero la morte ma non ne ho neanche paura: so che oltre quella soglia che un giorno passerò in un unico senso di marcia non mi aspetta il buio, e che i vermi faranno scempio solo del mio corpo, non di ciò che mi distingue da ogni altra persona su questa terra. Quello è eterno, indistruttibile, e non morirà.
Stasera mi ha colpita come un macigno la nostalgia di Aldo e Paolo… nostalgia dell’aria strafottente di Aldo, del suo voler essere più grande, più maturo, delle sue frasi a presa di culo, della sua aria da bambino… o forse io lo vedevo ancora e sempre troppo bambino? Nostalgia acuta del suo sorriso, delle sue battute, del mio fratellino adottivo sempre pronto a consolarmi, a capirmi… nostalgia di Paolo, pacioccone e bonario con tutti, pronto a correre ad ogni SOS…………….. dov’era Dio quella sera in cui LUI ha lanciato il suo SOS? Perché di loro mi rimane solo questa maledetta, inguaribile, irriducibile nostalgia del loro caro, prezioso abbraccio? Rivedo Aldo in divisa da parà, e poi con una torta spiaccicata in faccia da Paolo il giorno del mio matrimonio, e Paolo con le scarpe in mano quel giorno a Firenze, e risento le loro voci allegre, ricordo i loro dispetti, le loro bambinate, piccoli episodi che ho vissuto con loro senza immaginare quanto sarebbero diventati preziosi nel ricordo, e mi dico che sono stata fortunata… perché ho avuto due amici che mi hanno voluto seriamente bene, che non mi hanno mai tradita, due meravigliosi fratelli che mi hanno dato un mondo d’amore,  che mi hanno considerata e trattata come la principessa di una favola, che mi hanno aiutata nei momenti brutti come nessuno al mondo aveva mai saputo fare, ed io… devo solo essere felice di aver avuto tutto questo. Da qualche parte, loro sono  insieme e mi aspettano. Per continuare da dov’eravamo rimasti. Un giorno o l’altro aprirò una porta ed al di là della soglia Paolo mi chiederà se voglio un Formitrol, Aldo scuoterà la testa e dirà "qui è tutto negativo", e ci riabbracceremo, semplicemente, felici di rivederci.

Dev’essere per forza così, non accetto altre versioni.




E comunque non se ne può più di tutta questa pioggia.......